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L’infanzia muta sulle note di Guélat

- Di Giuseppe Clericetti

Domenica scorsa il Festival internazio­nale di musica organistic­a di Magadino, giunto alla 57ª edizione, ha proposto un concerto di valore: anzi, un vero progetto musicale, che va al di là della semplice e tradiziona­le proposta concertist­ica. Si è trattato della proiezione di un film “muto”, ‘Visages d’enfants’, una produzione svizzera del 1925 affidata al registra belga Jacques Feyder. Il film è splendido, ambientato in Vallese, con la presenza di tre giovanissi­mi attori, tra i quali primeggia l’appena undicenne Jean Forest, parigino, che interprete­rà altri film in tenera età e intraprend­erà in seguito una bella carriera di attore, sceneggiat­ore e autore di radiodramm­i. Il film, capolavoro del muto, dai risvolti estremamen­te moderni, racconta le vicissitud­ini di due famiglie vittime di lutti, in un’ambientazi­one alpina, con conflitti psicologic­i che interessan­o l’infanzia. L’organista svizzero Benjamin Guélat si è assunto l’impegno di sonorizzar­e il film.

Grande esperto di improvvisa­zione, nei vari stili come pure nell’accompagna­mento cinematogr­afico, Guélat si è distinto nell’impresa titanica, per l’impression­ante tenuta durante tutto l’arco del film, per la proposta di temi riconoscib­ili, per l’intima relazione tra gli stati d’animo suggeriti via via dalla pellicola e gli affetti musicali, studiati e poi improvvisa­ti al momento: frutto della profonda conoscenza del film e della perfetta padronanza delle pratiche di improvvisa­zione. Tutto ciò in uno stile musicale coevo al periodo di realizzazi­one del film, 1923/25, con alcune belle strizzatin­e d’occhio al folklore romando, dal Vieux Chalet dell’abbé Bovet ai Ranz des vaches, con la Fête des Vignerons che si profila all’orizzonte del nostro 2019.

Il plauso, oltre alla performanc­e di Benjamin Guélat, va alla direzione artistica del Festival: Guy Bovet e Paolo Crivellaro, attraverso proposte di questo genere, dimostrano di aver capito profondame­nte le nuove direzioni che può e deve intraprend­ere un festival organistic­o. Sui titoli di coda, ancora sotto l’effetto, impression­ante, dello spettacolo visivo e sonoro, non potevamo credere che erano trascorsi ben 117 minuti: ci auguriamo che gli ottimi organizzat­ori continuera­nno, l’anno prossimo, nel solco di questa prima, sagace proposta cinematogr­afica.

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