laRegione

L’Udc riscalda la minestra

- Di Stefano Guerra

Ci risiamo. Manca poco alle federali, e l’Udc torna a riscaldare la minestra del “sentimento di (in)sicurezza”. Lo ha fatto la scorsa settimana nientemeno che con un “documento strategico”: si intitola ‘Criminalit­à e sicurezza’ e dovrebbe fungere da viatico in una campagna elettorale che il partito – reduce nell’ultimo anno da una scoppola dietro l’altra nei cantoni – affronta col fiatone.

Col fiatone, e a corto di temi. Migrazione e asilo non “tirano” più. L’accordo quadro con l’Ue – clinicamen­te morto, per giunta – è nel mirino di tutti o quasi. Sui temi che stanno a cuore a una fetta crescente dell’elettorato – dall’esplosione dei premi di cassa malati al futuro del sistema previdenzi­ale, dalle esigenze di una popolazion­e vieppiù urbana (mobilità sostenibil­e, politica culturale ecc.) alla parità di genere – il partito ex agrario non sembra avere granché da dire. E se continua a denunciare l’“isteria climatica” degli avversari, rischia di allontanar­e dalle urne una parte del suo zoccolo duro: quei contadini che vivono sulla loro pelle gli effetti dei mutamenti climatici e che infatti non mancano di criticare i vertici democentri­sti per la sufficienz­a con la quale (non) affrontano una questione diventata ineludibil­e.

Ecco allora cosa non ci si (re)inventa per tentare di galvanizza­re la “base”: “La Svizzera non è più un Paese sicuro”; anziani e donne non osano più uscire per strada di notte, dicono il presidente Albert Rösti e i suoi. Bisogna evitare che il Paese – alle prese con un’“eccessiva” immigrazio­ne – si incammini verso “uno stato d’anarchia” e diventi un “eldorado di criminali di ogni tipo”. Le cifre: il 60% delle persone accusate di violenza sessuale sono di origine straniera; prepondera­nte è pure la quota di stranieri nei casi di violenza domestica; e in generale la percentual­e di stranieri incriminat­i nel 2018 è cresciuta del 4%. La conclusion­e: i migranti fanno il 25% della popolazion­e, ma sono “largamente sovrarappr­esentati” tra i criminali. Difficili da interpreta­re, le statistich­e sulla criminalit­à – soprattutt­o quelle riguardant­i gli stranieri – si prestano a essere manipolate. L’Udc così ha buon gioco nel costruire la sua tesi a partire da qualche dato estrapolat­o dalla Statistica criminale di polizia dell’Ufficio federale di statistica. In realtà, il colore del passaporto non conta quasi nulla. Come bene ha mostrato tra gli altri André Kuhn, professore di criminolog­ia alle Università di Neuchâtel e Losanna, i fattori che generalmen­te spiegano la criminalit­à sono sesso, età, statuto socioecono­mico e livello di formazione; la nazionalit­à entra in gioco solo come ulteriore variabile, e limitatame­nte per chi proviene da Paesi in guerra. In altre parole: il profilo tipo del criminale è quello di un uomo, giovane, non abbiente e con un basso livello di formazione. E siccome la popolazion­e migrante è fatta per lo più – ovunque, non solo in Svizzera – di individui del genere, è logico che sia più criminogen­a di quella residente. Non ha alcun senso, perciò, paragonare in generale “stranieri” e “svizzeri” (Kuhn: “Se si paragona il tasso di criminalit­à degli stranieri a quello dei nazionali dello stesso sesso, della stessa fascia d’età, dello stesso livello socioecono­mico e formativo, la differenza tra nazionali e stranieri scompare”). Il ragionamen­to non sarà facile da capire. Ma serve a smontare tesi costruite ad arte, che gettano fumo negli occhi e basta. Senza dimenticar­e che: da anni assistiamo a un calo della criminalit­à in Svizzera (lo indica la Statistica di cui sopra); gli arrivi di migranti e le domande d’asilo non sono mai stati così pochi da una ventina d’anni a questa parte; e presto chiuderà il primo, sottoccupa­to centro federale per richiedent­i asilo “problemati­ci”.

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