Polanski, trionfo dopo le polemiche
Incredibile, l’attesa per il ‘J’accuse’ (L’ufficiale e la spia) di Roman Polanski. Dopo le polemiche che hanno seguito l’annuncio della proiezione del film a Venezia, finalmente sullo schermo si è scoperto un grande film – e una denuncia precisa ai ciechi ordinamenti giudiziari servi dei forti poteri politici, gli stessi che stanno perseguitando da oltre quarant’anni il regista stesso, con la pratica conseguenza della sua assenza qui al Lido.
Il film si occupa dell’affaire Dreyfus che, spiega il regista, “divise la Francia per dodici anni, causando una vera e propria sollevazione in tutto il mondo, e rimane ancora oggi un simbolo dell’iniquità di cui sono capaci le autorità politiche, nel nome degli interessi nazionali”. Siamo a Parigi il 5 gennaio 1895, dove nel grande cortile dell’École Militaire, di fronte a truppe schierate e un pubblico contro gli ebrei, l’ufficiale Georges Picquart (un superbo Jean Dujardin) assiste alla pubblica condanna e all’umiliante degradazione del capitano Alfred Dreyfus, un giovane ebreo.
Dreyfus (un magnifico Louis Garrel) è accusato di alto tradimento. Poco dopo scopriamo Picquart prima con l’amante (una intensa Emmanuelle Seigner) poi con lo stato maggiore dell’esercito che lo assegna a comandare i servizi segreti militari. Qui, tra i documenti del controspionaggio trova prove che lo portano alla scoperta che il capitano Alfred Dreyfus, condannato al disonore e all’esilio sull’Isola del Diavolo, nella Guyana francese, è innocente. Anche il regista è stato condannato al disonore e all’esilio. Per Picquart è una questione d’onore: è anche lui antisemita, ma non sopporta che un militare sia ingiustamente condannato. Scopre il vero colpevole, un altro ufficiale, ma la giustizia militare non può ammettere lo sbaglio, e dopo aver spedito Picquart in giro per Francia, Algeria e Tunisia, lo arresta. Ma prima il testardo ufficiale riesce a spiegare tutto a un gruppo di amici, tra cui lo scrittore Émile Zola che per aiutare l’amico e per far luce sul caso scrive un editoriale, in forma di lettera aperta al presidente della Repubblica Félix Faure: il suo “J’Accuse…!” fu pubblicato il 13 gennaio 1898 dal giornale socialista ‘L’Aurore’. Proprio lo scritto di Zola scatena l’opinione pubblica e il caso viene riaperto. Con una scrittura magistrale nella sua essenzialità cinematografica, Polanski regala al pubblico una riflessione fondamentale per leggere non gli eventi dello scorso secolo – dall’antisemitismo imperante in Francia, Germania e Italia, al peso delle strutture militari nazionalistiche – ma per comprendere meglio il peso di certe idee che oggi ritornano a vivere con la violenza che già le aveva caratterizzate. Grande Cinema.
Non convince invece, sempre in concorso, ‘Il sindaco del Rione Sanità’ che Mario Martone trae dall’omonima commedia in tre atti di Eduardo De Filippo andata in scena per la prima volta al Teatro Quirino di Roma nel 1960. Martone l’aveva portata in scena a Napoli da poco e questo suo tentativo di portarla sullo schermo, pur encomiabile, paga la poesia che viene a mancare, anche nella sua versione teatrale, per la scelta di cambiare età al protagonista, don Antonio: Eduardo lo voleva uomo “alto di statura, asciutto, nerboruto”, ma soprattutto maturo; qui abbiamo un uomo che ha la metà di quegli anni. Togliere il peso dell’età regala al dire della commedia un’andatura diversa, più fisica, e il risultato è un gomorra qualsiasi, gli interpreti non convincono e il film scivola via senza emozioni regalando un po’ di stanchezza e noia. Su altri livelli si muove il teso ed emozionante ‘Seberg’ di Benedict Andrews con una strepitosa Kristen Stewart nelle vesti di Jean Seberg, l’attrice che dà il titolo a un film che raccontando pochi anni della breve vita di questa straordinaria donna, le regala l’assunzione al mito. Nel film lei si trova a combattere negli Stati Uniti di fine anni Sessanta dello scorso secolo contro il razzismo dalla parte delle Pantere Nere, sorvegliata e psicologicamente violentata dal programma di sorveglianza illegale dell’Fbi, il Cointelpro, programma di sorveglianza, infiltrazione, discredito e smantellamento nei confronti di organizzazioni politiche e persone fisiche attive negli Stati Uniti. Questo portò la Signora Seberg a crisi nervose sempre più gravi. Il film scorre come un soffio e ti lascia l’amarezza di vivere in un mondo che non conosce il significato della parola libertà.