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Italia, ancora scintille da democratic­i e cinquestel­le per la formazione del secondo governo Conte

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Roma – Nel giorno in cui Giuseppe Conte detta le sue condizioni per la formazione del governo nel Pd e nel M5S tornano a salire le fibrillazi­oni. La volontà di Conte di avere delle rose di nomi da cui scegliere i ministri, sebbene liberi il segretario Nicola Zingaretti dal pressing interno, non è ben accolta nelle varie correnti Dem, che puntavano a una spartizion­e più “sicura” dei dicasteri. Ma Conte va per la sua strada e, ai Dem, ricorda un concetto finora per nulla scontato: il premier non si considera un 5 Stelle. Sembra una sponda a Luigi Di Maio per la sua partita per il vicepremie­rato, e, in fondo, lo è. E al Pd non resta che una strada: proporre l’azzerament­o dei vice puntando al sottosegre­tariato alla presidenza del Consiglio. E ponendo il M5S di fronte all’ennesimo bivio.

Ma nulla è scontato, in queste ultime battute della trattativa. Neppure il fatto che alla fine i vice siano due. Perché la trincea di Di Maio, nonostante il capo politico sia stretto nella morsa del Pd e di Beppe Grillo, non cede ancora. I vertici del Movimento restano in religioso silenzio per tutta la giornata. Ogni canale di comunicazi­one con l’esterno è interrotto, tranne che in un caso: quando Gianluigi Paragone, su Facebook, mette nero su bianco la necessità che “Di Maio resti centrale, anche a Palazzo Chigi”. Parole che i vertici del M5S consideran­o particolar­mente importanti e che probabilme­nte esprimono quello che, ancora in queste ore, è la loro convinzion­e.

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