Ogni quattro anni un nuovo Paese: ‘Siamo nomadi dei tempi moderni’
Il viaggio degli ambasciatori fra la gente nel pomeriggio ha fatto tappa anche a Bellinzona. In piazza Nosetto ha stazionato per alcune ore un autopostale d’epoca dove i collaboratori del Dfae hanno dialogato con i passanti. Alla presenza di enti pubblici, autorità politiche locali e media, gli ospiti della giornata hanno parlato delle loro esperienze all’estero e di quella professione che li porta a viaggiare in Paesi che sono spesso teatro di tensioni e conflitti. In una vita con la valigia in mano, trovarsi a Bellinzona per alcuni di loro è stato ‘un ritorno a casa’. Massimo Baggi è infatti originario di Gorduno, mentre sono nati a Bellinzona Pietro Lazzeri e Stefano Lazzarotto, che si è definito un ‘granata Doc’. «È un piacere essere nel mio Comune per incontrarvi e parlarvi del mio lavoro, che non è fatto di soli cocktail e ricevimenti – esordisce Baggi con il sorriso – ma richiede grande flessibilità». Capacità di adattarsi a una nuova ‘casa’ che cambia ogni quattro anni, «siamo dei nomadi dei tempi moderni – evidenzia
Baggi – e anche un po’ camaleonti».
‘Non sempre ci si sente sicuri’
In Svizzera la sicurezza è data per scontata, ma come ci si sente in un Paese dove ci sono tensioni politiche o guerre civili? Lazzarotto ammette: non sempre ci si sente tranquilli. «Ma non siamo soli e possiamo sempre contare su collaboratori con cui possiamo interagire». Inoltre, ogni ambasciata, spiega, è tenuta a fare riflessioni su tutti gli aspetti legati alla sicurezza e ai rischi principali a cui si è esposti all’estero. «Per prepararsi vengono elaborati degli scenari di risposta per far fronte ai problemi», rileva. Dispongono anche di strumenti di formazione, messi a disposizione dal centro di crisi di Berna, che è chiamato a gestire questo tipo di problemi. «Anche se spesso riscontriamo che è sul campo che si impara davvero, quando siamo esposti a situazioni reali». Dal canto suo Monica Schmutz-Kirgöz ricorda il disagio vissuto un paio di anni fa, quando il presidente turco Erdogan aveva fatto finire in prigione molti giornalisti. «In tutta la mia carriera, è stato l’unico momento in cui non mi sono sentita più a mio agio. Erano miei amici, a livello personale è stato molto difficile vedere la mia rete sparire e finire in carcere». Tutto sommato però, rileva Schmutz-Kirgöz, per gli svizzeri ci sono meno rischi: «Ad esempio in Libano, anche se giriamo con l’auto blindata, a differenza di altri ambasciatori possiamo andare ovunque; non siamo un bersaglio. Se qualcuno volesse rapire un ambasciatore, probabilmente non prenderebbe quello svizzero ma piuttosto quello americano».