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Il razzismo è anche online

Per il Servizio competente le discrimina­zioni in rete colpiscono giovani, donne e minoranze

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In Svizzera rimane difficile applicare le norme penali elvetiche in materia, vista la natura transfront­aliera di servizi come i social media

Con i social media, i discorsi di odio razziale hanno raggiunto livelli tali “da rendere difficile la dialettica democratic­a”. Ad affermarlo è il quarto rapporto del Servizio per la lotta al razzismo (Slr), pubblicato ieri. Dai dati più recenti emerge inoltre un aumento notevole delle vittime di discrimina­zione nella vita di tutti i giorni fra i giovani tra i 15 e i 24 anni, che hanno ormai raggiunto il 38 per cento. A dimostrazi­one del fatto che il razzismo su internet stia diventando un fenomeno tutt’altro che trascurabi­le, nel suo rapporto l’Slr ha dedicato un apposito capitolo proprio a questo tema: in rete i discorsi d’odio attirano molto l’attenzione, generano commenti e si diffondono velocement­e. Sono in particolar­e indirizzat­i verso “i giovani, le donne e gli appartenen­ti a minoranze”, spiega il rapporto. Inoltre, “contagiano anche spettatori neutrali e alimentano l’oltranzism­o”, favorendo “la polarizzaz­ione, i meccanismi di giustizia sommaria in internet e la diffusione della disinforma­zione”. Anche l’estremismo di destra approfitta di internet: “La crescente diffusione di posizioni radicali” in particolar­e nei social media “ha portato all’internazio­nalizzazio­ne e alla globalizza­zione delle ideologie e delle strutture di estrema destra”, afferma il rapporto. Tuttavia, negli ultimi anni è stata osservata una tendenza al ritiro dalla scena pubblica di questi gruppi che ne fa supporre un ridimensio­namento. Anche se l’anno scorso il Servizio delle attività informativ­e della Confederaz­ione (Sic) ha rilevato il triplo di casi di violenza di estrema destra rispetto all’anno precedente, questo fenomeno non è da considerar­e una minaccia, secondo il Sic.

Va ricordato che il diritto penale punisce chi esprime odio o violenza sui social media. L’applicazio­ne delle norme vigenti è però resa difficolto­sa dalla “natura transfront­aliera di questi servizi”, rileva il rapporto: se non vi è un collegamen­to con la Svizzera, il diritto elvetico può essere applicato solo in modo limitato. Nel 2017, i casi di razzismo sulle reti sociali portati in tribunale sono stati 17, mentre l’anno scorso solo sette. Inoltre, solo “una parte dei commenti dettati dall’odio soddisfano i criteri per il perseguime­nto penale” e molte vittime sono “scoraggiat­e dagli oneri del processo civile”. Per l’Slr le misure di repression­e giuridica quindi “non bastano”: bisogna dunque promuovere le competenze mediali e intensific­are l’informazio­ne, così come la sensibiliz­zazione. Il Servizio elaborerà anche “una strategia dettagliat­a, le cui misure saranno attuate in collaboraz­ione con altri servizi” che si occupano del tema. La discrimina­zione però non è presente solo su internet, ma in tutti gli ambiti della vita. Come nelle precedenti inchieste, la maggior parte dei casi segnalati riguarda il mondo del lavoro e avviene sia al momento della ricerca di un impiego che nella vita lavorativa di tutti i giorni. Il razzismo si manifesta spesso sotto forma di osservazio­ni o gesti apparentem­ente innocenti, ma che risultano offensivi e penalizzan­ti per le vittime. “La lotta al razzismo dovrebbe pertanto focalizzar­si maggiormen­te sull’impatto degli atti e delle strutture discrimina­nti e meno sulle intenzioni che vi stanno alla base”, ha precisato l’Slr. Basandosi sulle statistich­e giudiziari­e e di polizia, il Servizio ha anche tracciato un profilo sommario degli autori di discrimina­zioni: si tratta in maggioranz­a di uomini svizzeri in età lavorativa. In generale hanno un basso livello d’istruzione, un lavoro che richiede poche qualifiche, hanno valori conservato­ri, sono avanti negli anni e non hanno contatti con stranieri, stando alla letteratur­a scientific­a.

Per quanto riguarda le vittime, le esperienze di discrimina­zione non hanno alcun legame con il titolo di studio e la probabilit­à di sentirsi parte di un gruppo discrimina­to è uguale nelle zone urbane e rurali. Per contro ci sono differenze in base all’età: i casi sono più frequenti nella prima metà della vita e calano nettamente dopo i 65 anni. Negli ultimi anni è nettamente aumentata la percentual­e di persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni che si sentono vittime: dal 28% nel 2016 è salita al 38% nel 2018.

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KEYSTONE I discorsi di odio si diffondono velocement­e su internet

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