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Impigliati nella rete (neurale)

L’artista Alex Dorici e lo scienziato Luca Gambardell­a ci portano all’interno di una rete neurale artificial­e che ha imparato a riconoscer­e i gesti della mano

- Di Ivo Silvestro

La prima cosa che vediamo, scendendo le scale del tunnel di Besso, sono le luci dei monitor e le corde fluorescen­ti. Poi, iniziando a percorrere il sottopasso, il progetto acquista tridimensi­onalità. Fermandoci a leggere i pannelli sulla sinistra, scopriamo che la volta nel tunnel è una scatola cranica, i monitor sono neuroni e le corde assoni e sinapsi. In altre parole, stiamo camminando in una metafora.

E conviene scomporla, quella metafora, per raccontare ‘Neural rope’, installazi­one creata dall’artista Alex Dorici e dallo scienziato Luca Gambardell­a nell’ambito del Lugano Living Lab e inaugurata ieri quale anticipazi­one della Giornata Digitale. Prima di tutto abbiamo il contesto: il tunnel di Besso, come detto. Luogo di passaggio – ma anche, in passato, «un luogo non particolar­mente sicuro», per riprendere le parole del sindaco Marco Borradori. Siamo insomma di fronte a un progetto di arte urbana, e questo soprattutt­o pensando al visitatore tipico che poi è il passante con un po’ di tempo a disposizio­ne. Arte che – in questo caso con approvazio­ne e sostegno delle istituzion­i – cerca di ridare valore e significat­o a un luogo. Da questo punto di vista, ‘Neural rope’ è un intervento riuscito: nella semioscuri­tà del passaggio illuminato da lampade di Wood, l’effetto degli schermi e delle corde fluorescen­ti colpisce anche chi percorre il tunnel sovrappens­iero o di fretta, invitando a guardare con occhi nuovi uno spazio altrimenti anonimo.

Abbiamo poi, nella metafora di ‘Neural rope’, quello che i linguisti chiamano veicolo, lo strumento attraverso cui passa la metafora. Cioè lo spazio che Alex Dorici ha disegnato con le corde fluorescen­ti, componendo figure geometrich­e che poi ritroviamo sugli schermi se mostriamo la figura giusta all’occhio della rete neurale artificial­e. Perché ‘Neural rope’ si presenta come un gioco: mostriamo le mani a una telecamera e sugli schermi seguiamo l’elaborazio­ne digitale di quell’immagine, arrivando al risultato finale: un cubo, se mostriamo il pugno; una piramide se estendiamo tre dita. Più altri gesti che però non sveliamo per non togliere il piacere della scoperta – diciamo solo che sì, gli sviluppato­ri dell’Istituto dalle Molle per l’intelligen­za artificial­e (di cui Gambardell­a è direttore) hanno pensato anche ai gestacci. Un giochino semplice ma coinvolgen­te, ben integrato con l’installazi­one artistica.

Ultimo elemento della metafora, il più delicato, è il tenore, l’idea che la metafora dovrebbe trasmetter­e. Che è appunto la rete neurale artificial­e: non un computer programmat­o per riconoscer­e i gesti delle mani, ma una struttura che, imitando la struttura a neuroni del cervello umano, impara ad elaborare le informazio­ni. ‘Neural rope’ ha imparato, in laboratori­o, a distinguer­e i vari gesti – e continuerà a imparare anche adesso, nel tunnel di Besso, guardando i passanti che si fermano a giocare. Non è semplice, l’idea di rete neurale artificial­e – ma certamente è importante in una società sempre più tecnologic­a. ‘Neural rope’ è una metafora efficace? Riesce a trasmetter­e quantomeno i punti fondamenta­li di che cosa è una rete neurale artificial­e? Posto che andrebbe fatta una ricerca empirica, la risposta è probabilme­nte parziale. La struttura della rete, con i vari livelli di elaborazio­ne, è infatti immediata, ma l’idea di apprendime­nto richiede invece una dimensione temporale che rischia di perdersi: ‘Neural rope’ cambierà nel tempo, perché la rete imparerà a gestire nuovi gesti, ma non è detto che si riesca a percepire, questo mutamento.

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TI-PRESS / PABLO GIANINAZZI Dentro il tunnel della mente artificial­e

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