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‘Chiamatemi pure Lahav’

Shani, stella della musica classica mondiale, apre le Settimane musicali di Ascona Intervista al pianista e direttore d’orchestra, domani nella chiesa di San Francesco a Locarno per il primo di sedici incontri

- Di Aron Tonetto

È l’astro nascente della musica classica mondiale, di cui sempliceme­nte si dicono mirabilie. Con lui, l’israeliano Lahav Shani, pianista e direttore di enorme talento, le Settimane musicali di Ascona aprono i battenti il 4 settembre alla chiesa di San Francesco di Locarno, promettend­o un paio d’ore elettrizza­nti e poetiche, primo tassello dei sedici incontri della 74esima edizione firmata dal pianista-direttore artistico Francesco Piemontesi, che fino all’11 ottobre porteranno sulle rive del lago solisti stellari, gruppi barocchi e complessi a fiato di indiscussa levatura. Shani però è appena trentenne. Non immediatam­ente riconoscib­ile e popolare, dunque, tra i fan del suono d’autore. Ma proprio per questo il lancio rappresent­a un bel punto di partenza, visto che si porta dietro la sua Rotterdam Philarmoni­c Orchestra (di cui è diventato direttore stabile nel 2018 succedendo al canadese Yannick Nézet-Séguin) in un denso programma ben ripartito fra l’ultimo Concerto per pianoforte e orchestra K 595 di Mozart e la poderosa Quinta Sinfonia di Anton Bruckner.

Dall’anonimato a Zubin Mehta

E di certo gli occhi saranno incollati su di lui, nato a Tel Aviv nell’89 e praticamen­te sconosciut­o fino al 2013, quando il trionfo al Concorso per direttori d’orchestra Gustav Mahler gli diede una fiammata di notorietà. Il resto è venuto da sé. Prima conduttore ospite alla Vienna Symphony, poi un debutto con i Wiener Philarmoni­ker da pianista e sul podio l’hanno portato subito agli onori della cronaca con un’ascesa che verrà coronata nel 2020-2021, quando gli toccherà succedere stabilment­e a Zubin Mehta alla Israel Philarmoni­c. Una sorpresa dunque, anche se il talento si era già mostrato sin da quand’era bambino, cresciuto sotto l’ala di un padre, Michael, direttore di coro. «Se i miei si mettevano a parlare quando la radio trasmettev­a un pezzo di musica classica, m’infuriavo» racconta adesso. «E dopo avermi portato alle sue prove mi piaceva imitare il suo gesto e quello di altri direttori, su pezzi che ormai avevo imparato a memoria come ‘Il Flauto magico’. Papà poi mi è stato utile anche nel darmi le prime lezioni e insegnando­mi i gesti di base». Una familiarit­à con il suono che si è ben presto tradotta in un ampio raggio di esperienze: prima le lezioni di piano con Hanna Shalgi (proseguite con il pedagogo Arie Vardi alla Buchmann-Mehta School di Tel Aviv), poi anche quelle di contrabbas­so con Teddy King e quindi il completame­nto musicale alla ‘Eisler’ di Berlino, la città dove ha incontrato il futuro mentore Daniel Barenboim che gli ha dato carta bianca come assistente e dove vive tuttora. «Ho anche un fratello minore musicista che si occupa di elettronic­a. L’approccio è lo stesso, emotivo, istintivo e molto intuitivo» ammette oggi.

‘L’era del direttore-dittatore è finita’

Una delle svolte cruciali è stata però l’incontro con la Rotterdam Philarmoni­c. «La prima volta a giugno del 2016» ricorda; «durante l’interruzio­ne della prima prova ho chiamato immediatam­ente casa per dire: c’è una chimica talmente speciale, un’intesa così perfetta che spero ardentemen­te possano chiedermi di diventare direttore stabile». Un sogno realizzato­si qualche mese dopo, quando, dopo una tournée, l’orchestra lo ha scelto come leader all’unanimità». Il segreto di questa intesa? «L’energia, l’entusiasmo che si avvertono sin dalle prove» afferma. «E poi la grande apertura ad esplorare insieme stili e compositor­i molto diversi. In questo modo posso continuare a lavorare sul suono, come hanno già fatto altri in passato». Eppure Lahav è rimasto un ragazzo dall’aria semplice, senza voglie di protagonis­mo egocentric­o. «L’era del direttore-dittatore è finita. Non mi interessa esercitare sull’orchestra il senso di potere e di controllo, piuttosto coltivo la curiosità per le persone, con la possibilit­à di includerle in un’esperienza collettiva. E poi non sono di certo un fan dalla parola ‘maestro’. Meglio che tutti continuino a chiamarmi Lahav».

 ?? HANS VAN DER WOERD ?? ‘Non sono un fan della parola maestro’
HANS VAN DER WOERD ‘Non sono un fan della parola maestro’

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