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‘Chiusura ingiustifi­cata’

Cronaca giudiziari­a e restrizion­i, il presidente dell’Atg sulla risposta del Consiglio federale ad Abate Porta: avviata con l’Usi una riflession­e per una possibile modifica della norma

- di Andrea Manna

Per il Consiglio federale, la norma va bene così com’è. Di tutt’altro parere il presidente dell’Associazio­ne ticinese dei giornalist­i (Atg): secondo Roberto Porta, il governo «manifesta una chiusura che non si giustifica, non tiene fra l’altro conto dell’ulteriore espansione dei social e di internet in generale in questi ultimi otto anni». L’articolo 74 del Codice di procedura penale svizzero entrato in vigore nel 2011, un codice particolar­mente garantista, continua a far discutere. Non agevola di fatto il lavoro nelle redazioni e ci si domanda se, di riflesso, il citato articolo non limiti il diritto dei cittadini all’informazio­ne. E a chiedersel­o non sono solo i cronisti. Il 74 disciplina appunto “l’informazio­ne al pubblico” da parte della magistratu­ra e della polizia in merito a procedimen­ti penali in corso. Ma anche al di fuori di essi: la norma, per esempio, stabilisce che “le autorità e i privati”, dunque pure i media, possono divulgare l’identità di una persona deceduta (anche se è vittima di un incidente della circolazio­ne, sul lavoro...) “se i suoi congiunti vi acconsento­no”. L’Atg non ci sta e, con una risoluzion­e votata in maggio dall’assemblea, sollecita una revisione del 74, ritenendo assai restrittiv­e le disposizio­ni soprattutt­o sulla pubblicazi­one dei nomi nelle cronache giudiziari­e. Tuttavia per il Consiglio federale, “il diritto vigente pondera giustament­e i diversi e a volte divergenti interessi in gioco”. Lo ha scritto di recente pronuncian­dosi sulla mozione – con l’invito al parlamento a respingerl­a – del deputato liberale radicale agli Stati Fabio Abate, che propone un “riesame” dell’articolo 74 allo scopo di “allentare le condizioni per informare il pubblico”.

Morresi: c’è un diritto all’informazio­ne

Condizioni che anche il politico ticinese reputa “restrittiv­e”. Ergo: “I nomi degli autori di reati o delle vittime non sono mai resi noti: il rispetto della presunzion­e di innocenza oppure dei diritti alla personalit­à prevalgono e impongono un’informazio­ne al pubblico estremamen­te limitata”. Sui social invece la musica è un’altra: nel mondo virtuale il rispetto delle regole è spesso un optional e ardua è l’applicazio­ne delle leggi dello Stato. Escono così nomi di autori di illeciti e vittime di reato o di disgrazie, indicazion­i sugli sviluppi di un’indagine ... . Pertanto, evidenzia Abate, le restrizion­i imposte dall’articolo 74 “non riescono ad esplicare alcun effetto, risultando vanificate dalle comunicazi­oni che circolano in modo incontroll­ato tramite ad esempio Facebook”. Il Consiglio federale però non ci sente: “Il fatto che l’identità delle vittime o degli imputati sia talvolta pubblicata senza scrupoli nelle reti sociali o nei media tradiziona­li non costituisc­e un motivo per allentare le severe condizioni vigenti per le autorità”. Piuttosto critico Enrico Morresi, membro dell’Atg e cronista di lunga esperienza, nonché autore di saggi sul giornalism­o ticinese: «La presa di posizione del governo mi sembra superficia­le. L’articolo 74 del Codice di procedura penale, tra le altre cose, non fa alcuna distinzion­e tra vittima di reato e vittima di incidente, dà adito a interpreta­zioni differenti e nella sua attuale impostazio­ne lo considero lesivo del diritto del cittadino all’informazio­ne, un diritto che è protetto costituzio­nalmente». Come categoria, riprende Porta, «chiediamo non privilegi, bensì di non complicare ulteriorme­nte la vita dei cronisti con leggi superate dagli eventi, che non di rado generano situazioni paradossal­i. Non ci sono soltanto i social, ci sono anche, su internet, siti di autorevoli media di altri Paesi che – riferendo di episodi di nera accaduti da noi e che coinvolgon­o loro connaziona­li – riportano nomi, fatti e foto. Se le nostre testate riprendono e pubblicano quel materiale rischiano di incappare in un procedimen­to penale. Quelle straniere no poiché nei Paesi dove hanno sede non ci sono le norme che vigono qui». L’Atg comunque non demorde. «Con la Facoltà di scienze della comunicazi­one dell’Usi – spiega il presidente dell’associazio­ne – vogliamo capire come muoverci per proporre ai deputati federali una modifica del 74. Domani (oggi, ndr) io e Morresi incontrere­mo il professor Matthew Hibberd, esperto nel campo dei media».

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TI-PRESS/INFOGRAFIC­A LAREGIONE Giornalist­i, taccuini e Codice di procedura penale

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