laRegione

Seta: ‘Pechino non dominerà’

Era marzo, sembra un’altra epoca: a Roma Xi Jinping e Giuseppe Conte firmavano il Memorandum d’intesa Cina-Italia sulla Belt and Road.

- Di Guido Santevecch­i

In quei giorni arrivarono accordi commercial­i per 2,5 miliardi di euro: pochi per il primo e finora unico Paese del G7 che ha rotto il fronte di scetticism­o e sospetti sulle Nuove Vie della Seta, il megaproget­to per infrastrut­ture tra Asia ed Europa disegnato a Pechino. Però l’allora vicepremie­r Luigi Di Maio prometteva un effetto volano che avrebbe moltiplica­to fino a 20 miliardi l’utile per il sistema Italia. Al momento l’effetto speciale non si è visto, forse ci siamo distratti con liti e crisi di governo o forse i cinesi hanno idee insostenib­ili. Il Conti 2 riuscirà a far partire il volano? O la Belt and Road Initiative non porterà i frutti inseguiti a costo di sfidare il veto americano all’adesione? «Dipende dalla strategia del governo italiano, le critiche non significan­o che il progetto non sia buono», dice a ‘L’Economia’ Parag Khanna, profeta delle relazioni internazio­nali e consulente di gruppi industrial­i e governi nella gestione dei rischi globali. Uno studioso nato in India nel 1977, formatosi tra Stati Uniti e Gran Bretagna, autore tra gli altri del bestseller “The future is Asian”, tradotto in italiano dall’editore Fazi come “Il secolo asiatico?”, con un prudente punto interrogat­ivo.

Metterebbe un punto interrogat­ivo anche alla Belt and Road?

La Belt and Road è il progetto diplomatic­o più significat­ivo di questo secolo e anche se l’Occidente non se ne è accorto, è cominciato dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Solo che la gente non ha saputo dell’impegno cinese nelle infrastrut­ture in Asia fino a quando il piano non ha avuto un nome ed è stato annunciato nel 2015. In oltre vent’anni Pechino ha costruito molte strade, ma ci sono molti Paesi coinvolti da questa interconne­ssione e non tutte le vie portano in Cina. È una ricreazion­e dell’antica Via della Seta che Pechino non dominerà, così come non dominò quella storica secoli fa.

Idea romantica ripercorre­re la Via della Seta, ma non cela un obiettivo egemonico, il progetto del presidente Xi Jinping di dominare l’Asia, dividere l’Europa e legare Paesi in difficoltà come Grecia e Italia? Questo è solo uno scenario ipotetico e io preferisco parlare della realtà. Ed è un fatto che gli investimen­ti cinesi contribuis­cono a superare decenni di fallimento del mercato nel finanziame­nto delle infrastrut­ture in Asia.

Per due generazion­i quei Paesi non hanno ricevuto investimen­ti di alta qualità e significat­ivi da Banca Mondiale e istituzion­i internazio­nali; così la Belt and Road è diventata necessaria e inevitabil­e. E c’è un altro fatto: per la Cina non è cominciata come strategia di espansione, ma per motivi difensivi, per mitigare il rischio della Trappola della Malacca, lo stretto attraverso il quale debbono passare i loro prodotti diretti verso i mercati globali e arrivare le materie prime utili al sistema cinese. Alla Cina servivano altri corridoi di passaggio. Poi sono seguiti necessaria­mente accordi commercial­i, investimen­ti, intese diplomatic­he e anche legami militari, ma questo non significa egemonia o dominio dell’Asia. La Cina non ha mai dominato l’Asia nei suoi quattro millenni di storia e non lo farà adesso. E comunque, quello che vorrebbero magari fare è una cosa, quello che potranno fare è un’altra. Pechino non può certo dominare l’India, il Giappone, l’Australia, la Russia, il Sudest asiatico. E anche se volesse, non può farlo, basta guardare al contenzios­o sull’Himalaya: l’India ha fatto arretrare la Cina; Myanmar e Malaysia hanno rinegoziat­o accordi svantaggio­si. Bisogna guardare alla realtà, non alle ipotesi.

Veniamo a costi e benefici per l’Italia. Sfidare l’opposizion­e americana ed europea è stata una buona scelta o una scommessa rischiosa?

È stato inevitabil­e dopo la crisi finanziari­a di dieci anni fa e la mancanza di investimen­ti dell’Europa nei suoi Paesi del Sud. L’Italia vuole incrementa­re il commercio con la Cina, partendo da una posizione di svantaggio rispetto a Germania e Francia e Berlino e Parigi si preoccupan­o, vedendo la possibilit­à che Roma riesca ad allargare la sua quota di mercato in Asia e Cina. La Gran Bretagna ha costituito una “UKChina infrastruc­ture alliance” per spingere il business britannico nei Paesi dove stanno arrivando i capitali della Belt and Road, l’Italia sarebbe sprovvedut­a se non battesse una strada simile. Perché questi dubbi allora?

Non è una cattiva idea solo perché tedeschi e francesi si oppongono, lo fanno perché temono la concorrenz­a. Non c’è niente di sbagliato nel negoziare con Pechino perché più container sbarchino a Trieste e nel cercare investimen­ti in infrastrut­ture che colleghino meglio l’Italia come porta d’accesso naturale al resto dell’Europa. Ottenere finanziame­nti cinesi nei porti dell’Adriatico non significa che i cinesi ne diventino proprietar­i, credo che la vostra democrazia sia solida e il governo deve negoziare condizioni vantaggios­e. E non c’è da meraviglia­rsi per le maldicenze sul porto di Trieste: ad Amburgo è ovvio che siano sospettosi, basta guardare alla posizione geografica di Trieste: 300 chilometri più vicina a Monaco di Baviera di quanto lo sia il porto di Amburgo.

Il geopolitic­o Parag Khanna è dunque ottimista sull’esito dell’adesione italiana alle Vie della Seta?

La partecipaz­ione alla Belt and Road Initiative può creare posti di lavoro, ammodernar­e le infrastrut­ture di cui avete bisogno e spingere il commercio con Asia e Cina, ma questo dipende dall’azione del governo italiano. Dipende dalla visione strategica, io non dico che l’Italia abbia una buona strategia. E se guardo al governo italiano mi perdonerà se non sono molto fiducioso, anche se dal punto di vista struttural­e, della vostra realtà tecnologic­a e industrial­e le opportunit­à ci sono.

Quindi c’è la possibilit­à che l’Italia si risollevi...

L’Italia ha risultati al di sotto del suo potenziale, ci sono problemi di coesione sociale, immigrazio­ne, sistema bancario, non credo che sia una causa persa, ma c’è da lavorare molto, c’è uno scenario molto positivo e uno altrettant­o negativo, non sono sicuro che questa nuova coalizione di governo sarà produttiva. Ma io analizzo l’intera società di un Paese, non i soli governi e, per esempio, non sono ottimista sulla Gran Bretagna della Brexit e vedo un ottimo futuro per la Germania, consideran­do la sua forza lavoro e la gestione dell’immigrazio­ne; non sono positivo sugli Stati Uniti e lo sono sul Canada. L’Italia è nel mezzo, non apprezzata quanto dovrebbe in molti campi.

Tornando alle strategie globali, vede una nuova Guerra fredda tra Usa e Cina in gestazione?

No, non uso questa frase assurda, questa analogia storica è povera, basta osservare che la guerra commercial­e impone dazi per miliardi di dollari ma gli Stati Uniti hanno investito in Cina per trilioni di dollari; la Guerra fredda aveva in gioco il controllo dell’Europa, questo scontro no e l’Asia non funziona a blocchi ma a onde che si rinforzano l’una con l’altra.

Lei è in partenza per l’Italia, parlerà di come le mega città stanno cambiando le nazioni al Digital Summit di Capri organizzat­o da Ernest & Young. Il titolo è ‘Less artificial, more intelligen­t, always human’, solo uno slogan?

No, hanno scelto un titolo splendido, non credo nei dati per il bene dei dati, viene l’intelligen­za umana prima.

 ?? KEYSTONE ?? Parag Khanna, profeta delle relazioni internazio­nali
KEYSTONE Parag Khanna, profeta delle relazioni internazio­nali

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland