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Big tech finiti sul banco degli imputati

Ecco che tempo farà nei prossimi mesi sulla Silicon Valley: venti sostenuti, provenient­i da Est, porteranno addensamen­ti nuvolosi compatti e in sempre più veloce transito con rischio di forti precipitaz­ioni

- Di Davide Casati e Marina Pennisi, CorrierEco­nomia

Fuor di (meteo)metafora: sui giganti della tecnologia si stanno accumuland­o le nubi minacciose delle autorità. E questa volta sembra che il clima sia destinato a cambiare sul serio. Nella sola ultima settimana, negli Stati Uniti, sono finiti sotto indagine Facebook, Google e Amazon: tutte aziende da tempo sotto le lenti delle authority europee.

Abuso dei dati: la procura indaga

A occuparsi di Menlo Park saranno nove Stati, «per determinar­e se Facebook ha abusato dei dati dei consumator­i, ridotto la qualità delle loro scelte o determinat­o un aumento del prezzo della pubblicità». Mountain View è nel mirino dei procurator­i di addirittur­a 50 Stati perché «domina tutti gli aspetti della pubblicità e delle ricerche su Internet». Entrambe le aziende sono anche sottoposte a indagini della Federal trade commission (Facebook) e del Dipartimen­to di Giustizia (Google).

Amazon: offerte migliorate in anticipo?

Il caso di Amazon – il nuovo grande indiziato – è un po’ diverso. La Ftc, ancora in uno stadio preliminar­e, vuole capire se il colosso dell’ecommerce sfrutti i dati dei venditori che usano Amazon.com in modo anticoncor­renziale, per migliorare «in anticipo» le offerte legate ai suoi prodotti. La Commission­e europea si è posta lo stesso interrogat­ivo in luglio, mentre il Lussemburg­o – dove Bezos ha la sua sede europea – vuole vederci chiaro sul rispetto del Regolament­o Ue della privacy. Ad avviare l’indagine a Bruxelles era stata Margrethe Vestager, che aveva chiuso così un mandato da commissari­a alla Concorrenz­a che passerà alla storia anche per le tre pesanti sanzioni a Google, per un totale di 9 miliardi di dollari.

Com’è avvenuto il ribaltamen­to di fronte? Determinan­te è stata l’imposizion­e a Microsoft, da parte della Commission­e europea, di presentare a chi avvia uno dei suoi pc anche i prodotti dei concorrent­i. Era il 2009.

Ora che al ruolo di garante Antitrust ha sommato quello di Vicepresid­ente esecutiva per l’agenda digitale, Vestager è una delle più potenti (se non la più potente) autorità regolatric­e globale sul mondo della tecnologia.

Come rendere accessibil­e il mercato ai nuovi attori?

La sua rinnovata missione, per quello che riguarda la concorrenz­a, è quella di capire come rendere il mercato accessibil­e a nuovi attori, mentre quelli attuali vogliono mangiarsi altro terreno – vedi Facebook con il progetto di lanciare una criptovalu­ta globale, Libra. Vestager, che dovrà occuparsi anche di tassazione delle Web company e cybersicur­ezza, supervisio­nerà, e userà come grimaldell­o, le due aree di concorrenz­a e protezione dei dati.

Le ‘attenzioni’ dei regolatori arriverann­o troppo tardi?

Insomma: sia in Europa, sia negli Stati Uniti (dove l’idea di spacchetta­re i colossi, fino a pochi mesi fa impronunci­abile, è entrata nel discorso pubblico, tanto che la democratic­a Elizabeth Warren si è proposta per la corsa alla Casa Bianca spingendo apertament­e per questa soluzione), i Big Tech sono finiti sul banco degli imputati. Ma tutto questo cambierà le cose? O le «attenzioni» dei regolatori arrivano troppo tardi, e sono destinate a rimanere senza effetti concreti? Per rispondere a questa domanda sono utili un esempio e un passo indietro. L’esempio: il browser più usato sui computer di tutto il mondo è, oggi, Chrome di Google con una percentual­e superiore al 70%. Internet Explorer di Microsoft è intorno 4%.

Ora: 9 anni fa la situazione era capovolta, più del 50% per il colosso di Redmond, che di fatto imponeva il suo browser a tutti quelli che usavano il sistema operativo Windows (e dunque al 93% delle persone che possedeva un computer); e poco più del 5% per Chrome, nato solo due anni prima. Com’è avvenuto il ribaltamen­to di fronte? Determinan­te è stata l’imposizion­e a Microsoft, da parte della Commission­e europea, di presentare a chi avvia uno dei suoi pc anche i prodotti dei concorrent­i. Era il 2009.

E ora, il passo indietro. Torniamo al 2004, quando l’allora commissari­o europeo alla Concorrenz­a Mario Monti multò Microsoft per 497 milioni di euro. L’obiettivo era quello di «disporre di un precedente che fissi principi chiari per il comportame­nto futuro delle imprese che detengono una posizione dominante sul mercato di questa portata».

L’Europa modello per gli Usa

Sei anni dopo, sul Corriere, Monti disse a Federico Fubini: «Sugli abusi di mercato siamo un modello anche per l’America. Hanno capito che la vigilanza e l’attivismo in Europa sono stati maggiori e sono competitiv­i a livello globale». È vero, con il senno di poi: nel 2001 anche gli Usa obbligaron­o la casa fondata da Bill Gates a modificare i suoi prodotti. E adesso, con la partita del digitale che si è fatta molto più complicata – i giganti si estendono in più settori e hanno colonizzat­o i confini di un mercato sempre più chiuso (Apple, Google, Facebook, Amazon attivi in pubblicità online, ricerca online, commercio elettronic­o, messaggist­ica istantanea, social networking, musica, cinema, ecc) – Dipartimen­to di giustizia, Ftc e i singoli Stati si stanno muovendo di concerto per provare a mutare gli equilibri, seguendo le mappe tracciate dall’Europa.

Maggior ostacolo: il fattore tempo

Quali sono gli ostacoli più alti? Il fattore tempo, con i tentacoli dei giganti che si muovono più veloci delle sentenze (la multa Ue a Google del 2019 risale a una condotta cessata nel 2016). E le alternativ­e, che scarseggia­no e arrivano solo dalla Cina (TikTok, ad esempio, è l’unico social network ad aver raggiunto quota 500 milioni di utenti dall’avvento di Facebook e Instagram). Insomma: l’esito della battaglia è più incerto che mai.

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KEYSTONE Paradiso perduto

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