Big tech finiti sul banco degli imputati
Ecco che tempo farà nei prossimi mesi sulla Silicon Valley: venti sostenuti, provenienti da Est, porteranno addensamenti nuvolosi compatti e in sempre più veloce transito con rischio di forti precipitazioni
Fuor di (meteo)metafora: sui giganti della tecnologia si stanno accumulando le nubi minacciose delle autorità. E questa volta sembra che il clima sia destinato a cambiare sul serio. Nella sola ultima settimana, negli Stati Uniti, sono finiti sotto indagine Facebook, Google e Amazon: tutte aziende da tempo sotto le lenti delle authority europee.
Abuso dei dati: la procura indaga
A occuparsi di Menlo Park saranno nove Stati, «per determinare se Facebook ha abusato dei dati dei consumatori, ridotto la qualità delle loro scelte o determinato un aumento del prezzo della pubblicità». Mountain View è nel mirino dei procuratori di addirittura 50 Stati perché «domina tutti gli aspetti della pubblicità e delle ricerche su Internet». Entrambe le aziende sono anche sottoposte a indagini della Federal trade commission (Facebook) e del Dipartimento di Giustizia (Google).
Amazon: offerte migliorate in anticipo?
Il caso di Amazon – il nuovo grande indiziato – è un po’ diverso. La Ftc, ancora in uno stadio preliminare, vuole capire se il colosso dell’ecommerce sfrutti i dati dei venditori che usano Amazon.com in modo anticoncorrenziale, per migliorare «in anticipo» le offerte legate ai suoi prodotti. La Commissione europea si è posta lo stesso interrogativo in luglio, mentre il Lussemburgo – dove Bezos ha la sua sede europea – vuole vederci chiaro sul rispetto del Regolamento Ue della privacy. Ad avviare l’indagine a Bruxelles era stata Margrethe Vestager, che aveva chiuso così un mandato da commissaria alla Concorrenza che passerà alla storia anche per le tre pesanti sanzioni a Google, per un totale di 9 miliardi di dollari.
Com’è avvenuto il ribaltamento di fronte? Determinante è stata l’imposizione a Microsoft, da parte della Commissione europea, di presentare a chi avvia uno dei suoi pc anche i prodotti dei concorrenti. Era il 2009.
Ora che al ruolo di garante Antitrust ha sommato quello di Vicepresidente esecutiva per l’agenda digitale, Vestager è una delle più potenti (se non la più potente) autorità regolatrice globale sul mondo della tecnologia.
Come rendere accessibile il mercato ai nuovi attori?
La sua rinnovata missione, per quello che riguarda la concorrenza, è quella di capire come rendere il mercato accessibile a nuovi attori, mentre quelli attuali vogliono mangiarsi altro terreno – vedi Facebook con il progetto di lanciare una criptovaluta globale, Libra. Vestager, che dovrà occuparsi anche di tassazione delle Web company e cybersicurezza, supervisionerà, e userà come grimaldello, le due aree di concorrenza e protezione dei dati.
Le ‘attenzioni’ dei regolatori arriveranno troppo tardi?
Insomma: sia in Europa, sia negli Stati Uniti (dove l’idea di spacchettare i colossi, fino a pochi mesi fa impronunciabile, è entrata nel discorso pubblico, tanto che la democratica Elizabeth Warren si è proposta per la corsa alla Casa Bianca spingendo apertamente per questa soluzione), i Big Tech sono finiti sul banco degli imputati. Ma tutto questo cambierà le cose? O le «attenzioni» dei regolatori arrivano troppo tardi, e sono destinate a rimanere senza effetti concreti? Per rispondere a questa domanda sono utili un esempio e un passo indietro. L’esempio: il browser più usato sui computer di tutto il mondo è, oggi, Chrome di Google con una percentuale superiore al 70%. Internet Explorer di Microsoft è intorno 4%.
Ora: 9 anni fa la situazione era capovolta, più del 50% per il colosso di Redmond, che di fatto imponeva il suo browser a tutti quelli che usavano il sistema operativo Windows (e dunque al 93% delle persone che possedeva un computer); e poco più del 5% per Chrome, nato solo due anni prima. Com’è avvenuto il ribaltamento di fronte? Determinante è stata l’imposizione a Microsoft, da parte della Commissione europea, di presentare a chi avvia uno dei suoi pc anche i prodotti dei concorrenti. Era il 2009.
E ora, il passo indietro. Torniamo al 2004, quando l’allora commissario europeo alla Concorrenza Mario Monti multò Microsoft per 497 milioni di euro. L’obiettivo era quello di «disporre di un precedente che fissi principi chiari per il comportamento futuro delle imprese che detengono una posizione dominante sul mercato di questa portata».
L’Europa modello per gli Usa
Sei anni dopo, sul Corriere, Monti disse a Federico Fubini: «Sugli abusi di mercato siamo un modello anche per l’America. Hanno capito che la vigilanza e l’attivismo in Europa sono stati maggiori e sono competitivi a livello globale». È vero, con il senno di poi: nel 2001 anche gli Usa obbligarono la casa fondata da Bill Gates a modificare i suoi prodotti. E adesso, con la partita del digitale che si è fatta molto più complicata – i giganti si estendono in più settori e hanno colonizzato i confini di un mercato sempre più chiuso (Apple, Google, Facebook, Amazon attivi in pubblicità online, ricerca online, commercio elettronico, messaggistica istantanea, social networking, musica, cinema, ecc) – Dipartimento di giustizia, Ftc e i singoli Stati si stanno muovendo di concerto per provare a mutare gli equilibri, seguendo le mappe tracciate dall’Europa.
Maggior ostacolo: il fattore tempo
Quali sono gli ostacoli più alti? Il fattore tempo, con i tentacoli dei giganti che si muovono più veloci delle sentenze (la multa Ue a Google del 2019 risale a una condotta cessata nel 2016). E le alternative, che scarseggiano e arrivano solo dalla Cina (TikTok, ad esempio, è l’unico social network ad aver raggiunto quota 500 milioni di utenti dall’avvento di Facebook e Instagram). Insomma: l’esito della battaglia è più incerto che mai.