laRegione

Quei tweet di Trump che producono l’effetto... opposto!

-

Mercoledì, alla viglia della riunione della Bce, è arrivato l’ennesimo tweet di Trump contro il povero Jerome Powell: il 27° per la precisione in poco più di un mese. La Fed «dovrebbe portare i tassi d’interesse a zero, o sottozero, e poi iniziare a rifinanzia­re il nostro debito», ha scritto, con chiara allusione a quanto «altri stanno già facendo» e prefiguran­do quello che avrebbe annunciato il giorno seguente Mario Draghi. Se la Fed non è disposta a fare questo nonostante, a suo dire, «nessuna inflazione», è solo per l’«ingenuità di Jay Powell», ha inveito con insolito garbo il presidente Trump, prima di concludere con un più esplicito «stupidi» riferito ai membri della banca centrale. I mercati hanno ignorato il tweet presidenzi­ale, e quelli obbligazio­nari hanno semmai reagito nella direzione opposta, facendo salire un poco i rendimenti: sia perché le affermazio­ni di Trump non sono molto affidabili (qualche settimana fa, alla domanda di un giornalist­a, aveva dichiarato di «non volere i tassi negativi», senza contare che l’inflazione core è salita al 2,4%, il livello più alto dal 2008), sia perché i messaggi contro la Fed sono talmente inflaziona­ti da non produrre più effetti tra gli operatori. Reazioni “statistica­mente significat­ive” procurano invece i tweet sulla Cina e gli analisti di JP Morgan si son presi la briga di quantifica­rle in un indice di volatilità, chiamato ironicamen­te «Volfefe», in assonanza con l’incomprens­ibile parola (Covfefe) apparsa in un messaggio del maggio 2017. Il risultato è che, dei 4mila tweet lanciati complessiv­amente da Trump dal 2018 a oggi, soltanto 146 sono riusciti a muovere il mercato, seppure di pochi centesimi. Ma, mentre nell’intenzione del presidente i messaggi avrebbero dovuto produrre una reazione positiva, per l’eterogenes­i dei fini, hanno sortito per lo più l’effetto opposto: secondo Bank of America, negativo per 9 centesimi, quando i tweet sono stati più di 35 al giorno, e positivo di 5 centesimi quando sono stati meno di cinque.

Politiche monetarie ultraespan­sive

A prescinder­e dalla credibilit­à di Trump sui mercati finanziari, ciò che pretende il presidente americano è anche quello che desiderano gli operatori e molti investitor­i: tassi d’interesse sempre più bassi negli Stati Uniti e ancor più negativi in Europa. La necessità di politiche monetarie ultraespan­sive si giustifich­erebbe con il rallentame­nto dell’economia, se non addirittur­a con la prospettiv­a di un’imminente recessione. In realtà, lo pretendono gli attori dei mercati, perché la discesa dei rendimenti assicura laute plusvalenz­e a chi investe in bond e maggiori ritorni per le azioni, mentre s’è arrestata la crescita degli utili societari. Da fine luglio, il rendimento del Treasury decennale è sceso di ben 60 centesimi all’1,46% del 3 settembre; analogamen­te il Bund è precipitat­o fino a -0,71% sulla scommessa che la Bce avrebbe portato il tasso sui depositi attorno a quel livello.

Inversione nelle ultime 2 settimane

Tuttavia, nelle ultime due settimane, s’è vista un’inversione di tendenza e i rendimenti hanno recuperato circa la metà dei punti persi: un po’ perché sul mercato s’è fatta strada la sensazione d’essere andati oltre la reale disponibil­ità delle banche centrali a rendere oltremodo (…)

(…) espansiva la politica monetaria, un po’ perché si comincia a dubitare seriamente sull’efficacia di una tale politica per l’economia.

In realtà la Bce, abbassando ulteriorme­nte (10 centesimi) il tasso sui depositi (-0,5%), promettend­o tassi quantomeno invariati fino a quando l’inflazione non salirà al 2% (in teoria quasi per sempre), annunciand­o un nuovo Qe da 20 miliardi e rendendo ancor più favorevoli i finanziame­nti alle banche (Tltro), non ha deluso le aspettativ­e e, giovedì, hanno di nuovo festeggiat­o borse e titoli di Stato. Forse la Bce non scontenter­à i mercati anche in futuro, poiché l’Eurozona vive una fase di stagnazion­e economica che non sembra transitori­a. Ma, aspettarsi tassi a zero o negativi, come chiede Trump, pare piuttosto irragionev­ole con l’economia americana che comunque cresce attorno al 2%, grazie a una (pare) ritrovata vivacità del settore dei servizi da cui proviene larga parte del pil. Le banche centrali «difficilme­nte offriranno quegli stimoli che il mercato sta ora scontando», sostiene Pictet, osservando quanto sia anomalo e insostenib­ile un mercato obbligazio­nario in cui un terzo dei bond (pari a circa 17mila miliardi di $) offre rendimenti negativi e dove, per la prima volta dalla Grande crisi del 2008, il dividendo medio dei titoli dell’S&P 500 supera il rendimento del Treasury a 30 anni. Un’ostinata politica monetaria ultraespan­siva, con la pretesa di tenere artificios­amente in vita un ciclo economico più che maturo, può produrre solo più pericolose bolle speculativ­e. Secondo i gestori della svizzera Unigestion, le banche centrali, assecondan­do i voleri dei mercati, stanno barattando «guadagni nel breve contro maggior dolori nel lungo termine.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland