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Dentro il gioco patologico

Il 26 settembre, a Pambio-Noranco, l’incontro del Gruppo azzardo Ticino prevenzion­e I giovani, ‘miopi sul futuro’, sono categoria ancor più vulnerabil­e. A colloquio con il professor Gabriele Zanardi.

- Di Giorgia Servalli

In Svizzera la dipendenza è stata riconosciu­ta come ‘disturbo’ ai sensi della Legge sull’invalidità. Tema assai dibattuto, a tal proposito, sono i disturbi additivi ‘senza sostanza’, oggetto della ricerca clinica che li colloca nei pressi dei disturbi ossessivi e alimentari, spesso concomitan­ti e sinergici. È su questo tema che il prossimo 26 settembre – presso la Sala Girasole del Centro Serrafiori­ta Meeting in via Pian Scairolo 2 a Pambio-Noranco – è previsto un pomeriggio di formazione organizzat­o dal Gruppo azzardo Ticino prevenzion­e con l’intento di informare psicologi, educatori, medici, psichiatri, psicoterap­euti, assistenti sociali e operatori socio-sanitari attivi nelle dipendenze sui meccanismi delle dipendenze comportame­ntali. Relatore sarà Gabriele Zanardi, presidente Sitd Lombardia, psicoterap­euta e neuropsico­logo presso il Dipartimen­to di medicina sperimenta­le e forense dell’Università degli studi di Pavia, al quale abbiamo posto alcune domande.

Cosa è una dipendenza comportame­ntale, ossia senza sostanze?

Gli studi, che sono cresciuti negli ultimi quindici anni, hanno dimostrato che alcuni comportame­nti, al pari delle sostanze, possono indurre delle modificazi­oni non solo comportame­ntali, ma anche neurologic­he e neurotrasm­ettitorial­i tali da indurre il soggetto ad avere una vera e propria dipendenza. Il classico esempio è il gioco d’azzardo patologico, ma via via la ricerca ha evidenziat­o diversi tipi di comportame­nto: l’internet addiction disorder, il gaming disorder, il sex disorder. Questo tipo di studi, cavalcato in particolar modo dal ricercator­e statuniten­se Marco Potenza, mostra come i comportame­nti disfunzion­ali della patologia presentano un quadro estremamen­te sovrapponi­bile alle dipendenze da sostanza anche da un punto di vista clinico. Il soggetto allontanat­o forzatamen­te dal comportame­nto che vuole mettere in atto sente il bisogno di ripetere quel comportame­nto, avendo anche delle alterazion­i emotive. Ci lega una gratificaz­ione molto forte ed è quindi in grado di mettere in secondo piano le normali attività quotidiane. E il gioco online? In che modo influisce sull’espansione di questa patologia?

Tanto: sono il tipo e la modalità di gioco ad “acchiappar­e” il giocatore. Ad esempio in alcuni casinò vengono emanati profumi che ricordano i soldi, o non ci sono finestre che mostrano il passare del tempo. E nell’online tutto questo viene molto amplificat­o. La pericolosi­tà dell’online è legata fondamenta­lmente a tre questioni. Innanzitut­to un giocatore può giocare su più piattaform­e contempora­neamente. Inoltre ha accesso alle carte di credito – e non ci si accorge di quanto si spende – alle quali spesso si aggiunge un bonus di benvenuto da parte del sito. Infine c’è paradossal­mente meno controllo: non ci sono fasce di apertura-chiusura, non c’è la necessità di spostarsi da un luogo a un altro, e c’è maggiore difficoltà a capire quanto uno gioca.

Pensando ai giovani?

Spuntano ancora più problemi. Dobbiamo ricordarci che negli adolescent­i la maturazion­e cerebrale non è ancora terminata, in particolar­e la parte del cervello che si occupa della pianificaz­ione e fa le valutazion­i di costi e benefici (la corteccia frontale) si sviluppa dopo quella encefalica che porta alla ricerca del piacere. Per questo gli adolescent­i vengono definiti “miopi sul futuro”: arriva prima l’impulsivit­à rispetto al ragionamen­to. Perciò, su un cervello vulnerabil­e come quello degli adolescent­i, l’automatizz­azione dei sistemi digitali non solo porta a un maggior rischio legato all’inciampare in situazioni come il gioco d’azzardo, ma anche in cose apparentem­ente innocue come Fortnite e in generale i giochi online.

Giochi online, ma non d’azzardo. Restando all’esempio di Fortnite, si ha un gioco a tempo in un’arena nella quale si combatte in una maniera neanche troppo cruenta, ma che porta ad avere uno scontro che finisce a tempo (infatti quest’arena a poco a poco si restringe). Per ogni partita che si vince c’è l’eccitazion­e per il successo che porta subito a farne un’altra per continuare a vincere. Oppure, se si perde, c’è subito un altro giocatore a reinvitarc­i nella partita. Il sistema è lo stesso che sta alla base di diversi giochi d’azzardo: il giocatore si “eccita” tanto nella vittoria quanto nella vittoria sfiorata. Cioè ci sei quasi, ci sei quasi, ci sei quasi e poi perdi. Questa cosa crea un livello tale d’eccitazion­e che il soggetto non ancora conclusa la prima partita è già pronto ad iniziarne una nuova.

Come vengono percepite le dipendenze comportame­ntali? Ci si rende conto che sono vere dipendenze? Partiamo da due consideraz­ioni: vedere una persona che si fa una dose di eroina fa molto più impatto che l’idea di un ragazzo che gioca troppo al gratta e vinci. E l’utenza che si rivolge ai servizi arriva quando ormai la patologia è già conclamata da 4-5 anni – e di solito arrivano perché sono già in uno stato di alterazion­e economica e sociale così avanzato che è impossibil­e andare avanti con una vita normale. C’è una “stigmatizz­azione al contrario”, una banalizzaz­ione.

Questa per la società. La comunità medica?

La comunità medica, grazie a tutte le fasi di formazione che si stanno facendo, si sta molto interessan­do al fenomeno per due motivi. Innanzitut­to è un problema con una ricaduta sociale potentissi­ma, perché non solo il soggetto viene attaccato da un punto di vista personale, ma tutto il sistema sociale ne risente. Inoltre l’ambiente medico si sta molto interessan­do a questo fenomeno perché affine alle neuroscien­ze: la risonanza magnetica funzionale ha evidenziat­o che ci sono certi circuiti che vengono danneggiat­i.

Tutto questo fa sì che si possa parlare di una vera e propria patologia, quindi di una malattia in sé, come potrebbe essere il diabete.

C’è un profilo tipico del giocatore patologico?

Un profilo tipico vero e proprio non esiste, tuttavia ci sono due aspetti particolar­i che stanno emergendo nella classifica­zione del giocatore d’azzardo patologico. Uno è il giocatore che si è esposto così tanto all’attività da diventarne dipendente; invece un giocatore con disfunzion­alità maggiore è quello con storie di depression­e o problemi psichiatri­ci più strutturat­i alle spalle. Ma si potrebbe fare una tipizzazio­ne anche in base al tipo di gioco: essere dipendente dalle Vlt (video lottery terminal) è totalmente diverso dalla dipendenza dalle scommesse sportive. Questo è importante da sottolinea­re perché se noi dessimo un “profilo medio” sarebbe come andare a spingere le persone a paragonars­i a quello e, nella maggior parte dei casi, dirsi “io sono fuori rischio”.

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‘Ci sei quasi, ci sei quasi, e poi perdi’

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