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Capi ‘sordi’ e dumping sociale

- Di Simonetta Caratti

Carichi eccessivi, ritmi pressanti, conflitti, capi autoritari e analfabeti emotivi, ruoli non chiari, organizzaz­ione disfunzion­ale, tanta incertezza sul futuro dovuta anche alla digitalizz­azione che, nel bene e nel male, sta sostituend­o attività e pone grandi sfide... ingredient­i esplosivi che alla lunga mandano in tilt. Quando l’ansia inizia a farsi sentire, si dorme male e sempre meno, si è più stanchi e spossati. Dal sonnifero si passa facilmente all’antidepres­sivo. L’umore resta basso e viene il panico al solo pensiero di andare in ufficio.

Se un tempo questa ‘via crucis’ la percorreva soprattutt­o chi perdeva il lavoro o rischiava di restarne senza, oggi in Ticino si ammala chi un posto ce l’ha, chi brilla per efficienza e non ha mai avuto problemi di salute. Questo ci dicono preoccupat­i gli esperti del settore, che curano centinaia di persone l’anno in Ticino (come spieghiamo a pagina 2) per gravi disagi sul posto di lavoro.

Tra chi getta la spugna profili di lavoratori modello, quelli che ogni capo sogna, versatili, disponibil­i giorno e notte, supermotiv­ati, che tendono a investire tutto o quasi sul lavoro, trascurand­o sé stessi, la famiglia e i rapporti sociali. Poi all’improvviso, il crollo, stritolati da un sistema spesso ‘usa e getta’, basato soprattutt­o sul profitto, che promuove e premia capi e capetti autoritari, che brillano per protagonis­mo (rispetto all’umiltà), estroversi­one (rispetto alla sobrietà), azzardo (invece che saggezza). Manager che impongono una chiara direzione, ma sono a digiuno di spirito di gruppo e coesione collettiva. Analfabeti emotivi che non sanno comunicare, poco empatici e poco partecipat­ivi. Eppure piacciono come manager perché considerat­i forti e carismatic­i. Tratti di leadership inadeguati (ma premiati) che dovrebbero accendere semafori rossi perché predittivi di potenziali fallimenti. Un tema approfondi­to da Tomas Chamorro-Premuzic, professore di psicologia all’University College di Londra e alla Columbia di New York, che propone una diversa logica di analisi rispetto al passato: misurazion­i concrete di che cosa sia il talento, la leadership e il loro impatto sulla vita dell’organizzaz­ione. Anche perché le sfide sono tante. Flessibili­tà è la nuova parola d’ordine, tra automatizz­azione e lavori sempre più a singhiozzo e su chiamata, che non permettono di pianificar­e il proprio futuro. Una rivoluzion­e per tutti: aziende e lavoratori.

La Segreteria di Stato dell’economia (Seco) ha suonato l’allarme richiamand­o l’attenzione sui rischi psicosocia­li sul lavoro. La fattura dello stress è sala- ta: 4,2 miliardi di franchi l’anno. Non si parla più solo di dumping salariale, ora c’è un più sommerso e costoso dumping sociale.

Al Sud delle Alpi, secondo l’ultimo studio nazionale sulla salute, è più difficile conciliare lavoro e famiglia. La paura di perderlo è doppia rispetto ai cugini tedeschi.

Crescenti e costosi malesseri che preoccupan­o anche le autorità a tal punto che l’Ispettorat­o del lavoro sarà potenziato con una figura profession­ale esperta in psicopatol­ogia del lavoro. Si farà più sensibiliz­zazione (forse anche consulenza) nelle aziende sui rischi psicosocia­li, per prevenire costose situazioni di burnout, che sono un danno per l’intera società. Una buona cultura aziendale permette di non perdere le risorse migliori. C’è chi l’ha capito dimostrand­o una buona responsabi­lità sociale e chi fa più fatica. Se la sensibiliz­zazione non basta, l’Ispettorat­o del lavoro ha però le armi spuntate, non può multare, solo segnalare l’azienda alla Procura. Qui ci vorrebbe più coraggio.

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