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La Fed taglia

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Una Federal Reserve divisa decide un altro taglio dei tassi di interesse, il secondo dalla grande crisi del 2008 dopo quello effettuato nel luglio scorso. Si tratta, come nelle attese, di una riduzione di un altro quarto di punto del costo del denaro, dentro una forchetta che ora va dall’1,75 al 2%. Ma resta incertezza su quelle che saranno le prossime mosse della banca centrale statuniten­se, che nel comunicato finale fa riferiment­o a eventuali ulteriori azioni entro la fine dell’anno senza però specificar­e se si tratterà di un nuovo ritocco verso il basso del tasso di riferiment­o. Così la reazione di Wall Street non è delle più entusiasti­che, con i principali indici che accentuano il calo in una giornata già partita fiacca. Anche per i timori legati a un’altra mossa della Fed: quella di pompare liquidità nel sistema finanziari­o per il secondo giorno consecutiv­o, con un’iniezione di ben 75 miliardi di dollari in cambio di obbligazio­ni. Una nuova maxi asta che va ad aggiungers­i a quella del giorno precedente. Nessun rischio sistemico o crisi del credito, solo un problema tecnico legato a una carenza di contante, assicurano gli analisti, lasciando però spazio a qualche preoccupaz­ione, visto che decisioni così rare e inusuali non si vedevano dal tempo della crisi. L’ira di Donald Trump su Twitter non si è fatta attendere: “Ancora una volta hanno fallito. Niente fegato, nessun senso, nessuna visione”, ha tuonato il presidente che ha più volte sostenuto la necessità di portare il costo del denaro vicino se non sotto lo zero, seguendo la Banca centrale europea. Il taglio dei tassi è stato deciso con sette voti favorevoli e tre contrari. Ma il presidente Jerome Powell è stato chiaro: “Abbiamo bisogno di ulteriori tagli solo se ci sarà un rallentame­nto dell’economia, cosa che per ora non sembra”. Secondo le ultime previsioni della banca centrale, infatti, l’economia Usa continuerà a crescere a un ritmo moderato e il mercato del lavoro resterà forte. Le incertezze aumentano, soprattutt­o quelle legate a un rallentame­nto dell’economia globale – vedi la Cina e l’Europa – e a un rallentame­nto del commercio mondiale dovuto ai dazi. Ma per ora Powell non vuole suonare apocalitti­co.

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