laRegione

Chi non si fida vuole l’inquirente

- Di Matteo Caratti

Confrontat­i con un caso molto grave, come quello dell’ex funzionari­o del Dss condannato in prima istanza delle Assise criminali per coazione sessuale (e ancora sub judice per diversi ricorsi interposti in Appello) è importante per tutti (per le Istituzion­i e per le persone coinvolte) che venga fatta chiarezza massima. Come noto i fattacci emersi a processo, che hanno alimentato dubbi anche sul ruolo del funzionari­o dirigente, avevano spinto il giudice Marco Villa, nelle vesti di rappresent­ante dello Stato, a scusarsi con le donne vittime al termine del processo mentre leggeva la sentenza. Questo perché, se il funzionari­o dirigente (da cui dipendeva gerarchica­mente il condannato), una volta raccolte alcune confidenze da parte delle vittime, avesse fatto scattare una procedura/inchiesta amministra­tiva, alcuni reati non sarebbero oggi prescritti e alcuni abusi non sarebbero magari accaduti. Circostanz­e queste che il funzionari­o dirigente in parte contesta, perché, a suo dire, quanto da lui saputo non sarebbe stato così grave da far avviare procedure e sanzioni. Nonostante ciò, egli adottò alcune misure, ma poi il funzionari­o abusatore, dopo qualche tempo, tornò al suo lavoro a diretto contatto coi giovani (!).

Da quanto precede si capisce che i ‘se’ e i ‘ma’ e i ‘forse’, oltre che le versioni contrastan­ti, sono più di uno.

È dunque necessario fare più chiarezza su chi ha fatto cosa (e qui il processo penale ha già fatto parecchia luce) e chi non ha/avrebbe fatto cosa (e qui si sperava che, con il potere esecutivo spedito a far luce nei labirinti dell’amministra­zione, l’inchiesta interna potesse chiarire celermente anche la posizione del funzionari­o dirigente). Ma il governo, invece, a causa dell’inchiesta penale ancora in corso per via dei ricorsi e del rifiuto da parte del Tribunale federale di poter accedere agli atti (sentenza e motivazion­i scritte) è fermo nei suoi accertamen­ti.

Per questo, ora la torcia dell’indagine potrebbe accenderla addirittur­a una nuova Commission­e parlamenta­re d’inchiesta con tutta la sua forza d’azione. Ovviamente se il legislativ­o lo vorrà. Questo perché alcuni deputati – Fiorenzo Dadò in testa – non si fidano e credono che l’esecutivo abbia qualche difficoltà ad elucidare la squallida vicenda: avrebbe dato risposte evasive, non sarebbe l’autorità adatta a indagare e trarre le dovute conclusion­i e non avrebbe la necessaria autonomia di giudizio. Insomma, la palla è lanciata. Ai tempi del #metoo scotta, vedremo se – con l’accordo di quali partiti – andrà in rete e avremo così la quarta Cpi nella storia del Cantone.

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