Biden rischia, Trump di più
L’Ucrainagate può compromettere le ambizioni del democratico per le presidenziali del 2020 Il capo della Casa Bianca ha superato la soglia del lecito nel sollecitare l’aiuto straniero per battere il possibile antagonista
Washington – Joe Biden ne uscirà male, ma Donald Trump rischia di uscirne peggio. Il presidente statunitense, incalzato da una inchiesta per l’apertura del processo di messa in stato d’accusa, ha ieri ottenuto da Kiev ciò che voleva: il nuovo procuratore generale ucraino Ruslan Riaboshapka ha annunciato che riesaminerà l’indagine su Burisma, la società del gas nel cui board sedeva il figlio di Joe Biden, Hunter. Una doccia fredda per l’ex vice di Obama, la cui campagna per la presidenza, sin dalle primarie, rischia ora di finire nel tritacarne. Ma lo stesso Trump ha forse spinto troppo oltre la propria arrogante interpretazione delle prerogative presidenziali. Non solo per gli imbarazzanti sviluppi nell’inchiesta di impeachment, per difendersi dalla quale la Casa Bianca sta alzando un muro di rifiuti alle richieste del Congresso che lo accusa di aver chiesto aiuto ad una potenza straniera a fini politici personali.
Dopo aver quasi vantato il desiderio che anche la Cina indaghi sui Biden, ieri mattina ha letto sui media del suo stesso Paese la notizia della telefonata dello scorso giugno in cui “discorreva” con il presidente cinese Xi Jinping delle prospettive politiche di Joe Biden e anche di Elizabeth Warren, entrambi suoi avversari per la Casa Bianca. Non solo. A Xi avrebbe anche promesso di tacere sulle proteste di Hong Kong durante i negoziati sui dazi.
Due elementi che secondo i democratici potrebbero indicare un legame tra l’accordo commerciale e un’indagine sui Biden e/o con il silenzio sui diritti umani. Tanto più che anche questa telefonata è finita nel sistema elettronico usato per le informazioni top secret, lo stesso in cui fu conservata la chiamata col presidente ucraino Volodymyr Zelensky, poi rivelata dalla denuncia di un agente della Cia.
Il ‘ricatto’ a Kiev saltato per le rivelazioni di ‘Politico’
Trump è tornato ieri a difendere le telefonate con i dirigenti stranieri, rivendicando “il dovere come presidente di porre fine alla corruzione, anche se questo significa chiedere aiuto ad altri Paesi”. Ma per lui e per il segretario di Stato Mike Pompeo, le insidie maggiori arrivano dagli sms di tre diplomatici, diffusi dai presidenti delle tre commissioni della Camera incaricate dell’indagine di impeachment, dopo la testimonianza dell’ex inviato speciale a Kiev Kurt Volker. Messaggi che dimostrerebbero che la Casa Bianca ha condizionato gli aiuti militari a Kiev e una visita alla Casa Bianca di Zelensky all’avvio di un’inchiesta sui Biden. Sino a licenziare la riluttante ambasciatrice a Kiev Marie Yovanovitch, su richiesta dell’avvocato personale del presidente Rudy Giuliani, e a redigere una bozza di dichiarazioni per lo stesso Zelensky.
Tutto saltò soltanto perché il settimanale ‘Politico’ rivelò il blocco degli aiuti militari da parte di Trump, suscitando lo sconcerto dell’ambasciatore statunitense ad interim a Kiev Bill Taylor: “Penso sia folle trattenere gli aiuti per la sicurezza per aiutare una campagna politica”, scrisse. Parole che pesano come macigni sulla presidenza e il Dipartimento di Stato, anche se per Trump “non ci fu alcun quid pro quo”.
La Casa Bianca ha anche scritto alla speaker della Camera Nancy Pelosi che non intende consegnare i documenti richiesti prima di un voto del Congresso per approvare l’indagine: la speranza è che i deputati democratici più vulnerabili nella rielezione in Stati vinti da Trump si ricredano, lasciando la Pelosi senza la maggioranza necessaria per proseguire la messa in stato d’accusa. Se poi essa dovesse arrivare al Senato, Trump è certo di poter contare sull’unità dei repubblicani per bocciarla. Ad assillare Trump, infine, una nuova talpa: un alto funzionario dell’Irs, il fisco americano, che ha denunciato che almeno un dirigente di nomina politica del Dipartimento al Tesoro ha tentato di interferire impropriamente con il controllo annuale delle dichiarazioni fiscali di Donald Trump e di Mike Pence.