La genesi della scienza
‘In principio era il vuoto’: così il fisico italiano inizia il suo racconto sulla nascita dell’universo. Perché ha forme diverse, si basa sulla ragione e sulle osservazioni, ma la scienza prosegue gli antichi discorsi sull’origine.
Il vuoto – che in fisica non coincide col nulla –, una fluttuazione quantistica, il bosone di Higgs: sono alcune delle tappe dello straordinario racconto che il fisico Guido Tonelli ha scritto in ‘Genesi. Il grande racconto delle origini’ (Feltrinelli 2019) e che riprenderà, lunedì prossimo 7 ottobre alle 20.30 nell’Auditorium dell’Università della Svizzera italiana a Lugano, ospite dell’associazione Athena (www.athenacultura.com). Il suo è un libro scientifico, ma riprende, nel titolo e nella struttura, il racconto biblico. Come mai?
È il racconto delle origini per l’eccellenza. Il libro della Bibbia che ho scelto come riferimento è quello che ha segnato la nostra identità: per migliaia di anni, chi si interrogava sull’origine dell’universo ha trovato nella Genesi la risposta. E penso che questa domanda sia ancora attuale, questa esigenza di dare risposta a questi quesiti sia presente nell’uomo moderno come nei nostri antenati, come addirittura negli ominidi che hanno preceduto la nostra specie. Proprio per segnalare questa continuità ho deciso di riferirmi alla Genesi: è un racconto che continua – ovviamente in forme diverse, perché il racconto scientifico dell’origine si distingue per metodi, per contenuti da ogni racconto mitologico, ma si ricollega allo stesso filo.
Se il filo è lo stesso, cosa dobbiamo pensare delle teorie del ‘doppio magistero,’ secondo cui scienza e fede non possono entrare in contrasto perché si occupano di cose diverse? Credo che l’esigenza di fondo sia la stessa. Tuttavia il lavoro scientifico ha a che fare con la natura e le sue leggi, si muove su un terreno che non può essere confuso con il terreno sovrannaturale in cui si sviluppa la fede. La fede è un affidarsi, accettare quello che la ragione ci dice – e la scienza ha potenziato enormemente gli strumenti della ragione – e non accontentarsi, chiedere qualcosa al di là della ragione. In questo senso i due campi sono separati e uno scienziato credente dà del mondo la stessa descrizione che do io, che sono non credente. In più, immagina una entità sovrannaturale su cui la scienza per definizione non potrà mai dire nulla.
Un aspetto che, mi pare di capire, dovrebbe accomunare scienza e religione è la popolarità, il loro essere conosciuti da tutti…
Certo, questa è una cosa a cui tengo moltissimo. Il fatto che i contenuti della scienza siano descritti in un linguaggio per specialisti rende difficile percepire la grandezza e la bellezza di questo racconto. E questa è stata una delle molle che mi ha spinto a scrivere il libro: raccontare a tutti quello che la scienza ci dice delle origini dell’universo. Un racconto che ritengo importante che tutti conoscano. Importante, utile e anche bello, perché sono concetti veramente meravigliosi che sfidano l’immaginazione, che ci portano in mondi fantastici.
Ovviamente non lo si può fare con il linguaggio scientifico delle equazioni, ma con quello colloquiale, il linguaggio di una cena tra amici. Un tempo usavamo le “chiacchierate al camino”, quando magari i nonni raccontavano ai nipotini le storie, le leggende, le tradizioni: mi piacerebbe riuscire a riprodurre quel clima.
I suoi colleghi fisici come vedono questo impegno?
Ho ricevuto apprezzamenti non solo da gente comune – persone che mi dicono che non capivano per niente la fisica, quasi la odiavano, e leggendomi iniziano a intuire che c’è qualcosa di bello – ma anche da colleghi, personaggi autorevoli, accademici dei Lincei.
Ho cercato di usare un linguaggio semplice, ma senza banalizzare – e infatti il libro non è del tutto semplice, ci sono punti che sono obiettivamente difficili da superare perché i concetti della scienza moderna sono complicati – e lo sono anche per gli scienziati. Ha citato più volte la bellezza: quanto è importante nella scienza? Intanto è qualcosa di importante per noi umani da sempre. A volte estremizzo la mia posizione, ma se uno guarda i primi ritrovamenti umani, le selci scheggiate: avevano sì la funzione di raschiare, di tagliare, ma avevano anche una bellezza, e infatti alcune non sono mai state usate, erano state fatte per bellezza. È come se noi umani avessimo bisogno, per vivere, della bellezza.
Questa esigenza di bellezza radicata dentro di noi si sviluppa anche nella scienza: lo scienziato cerca teorie, concezioni e congetture che sì descrivano i dati sperimentali, ma anche che siano belle, che abbiano un’eleganza. Magari si riveleranno sbagliate, ma noi cerchiamo quei tratti di eleganza e semplicità che rendono una teoria in qualche modo perfetta.
Dai vaccini al riscaldamento globale, vediamo parte della società diffidare della scienza. Come se lo spiega?
Non mi stupisco e non mi scandalizzo, contrariamente ad alcuni colleghi che si chiedono come sia possibile che nel 2019 ci siano persone convinte che la teoria dell’evoluzione sia sbagliata o che la Terra sia piatta. Non mi stupisco perché intanto siamo miliardi di persone, c’è spazio anche per opinioni più stravaganti – e poi spesso è l’opinione stravagante che fa notizia, crea attenzione. Ma c’è qualcosa di profondo: viviamo in una società in cui la scienza ha un ruolo incredibile. E chi non conosce la scienza e la tecnologia che stanno dietro, ne ricava da una parte una sensazione di onnipotenza, immagina che la scienza e la tecnica possano fare tutto; ma vedendo la potenza e non comprendendone i meccanismi, arriva l’angoscia, la paura. E da qui la diffidenza. Come scienziati bisogna accettare questo fenomeno e avere pazienza, non reagire con arroganza o irritazione ai dubbi – anche ingenui, anche sciocchi – che possono arrivare. Spiegare, raccontare, senza presunzioni perché nella scienza il principio di autorità non vale: ci basiamo sui fatti, sulle osservazioni sperimentali – a maggior ragione non possiamo quindi usare il principio di autorità nei confronti dei non scienziati. Dire “questo dice la scienza tu taci” è un atteggiamento estremamente infantile.