laRegione

Se Trump chiede aiuto

- Di Aldo Sofia

Memorie corte. In effetti, perché mai stupirsi di un Donald Trump che, dopo aver bloccato aiuti militari per 300 milioni di dollari destinati a Kiev, chiede insistente­mente aiuto all’Ucraina affinché indaghi e incastri il suo principale avversario democratic­o in vista della prossima corsa presidenzi­ale? Memorie corte, appunto. Perché basterebbe riandare alla campagna elettorale del 2016. Era il mese di luglio. E durante un comizio il tycoon invocò pubblicame­nte: “Russia, se ci stai ascoltando aiutaci a trovare le 30mila e-mail di Hillary Clinton che sono sparite”. Più esplicito di così... Ci fu qualche protesta, ma lo scandalo venne superato in pochissimi giorni. Sembrava la boutade di un candidato con poche chance e quindi in cerca di clamorosi ‘colpi bassi’; una parte del partito repubblica­no resisteva ancora all’ascesa di un uomo che aveva sconfessat­o gli ostili vertici del partito; e raffinati analisti pronostica­vano che, anche nel caso “dell’impossibil­e vittoria” il sistema democratic­o americano del ‘checks and balances” avrebbe raffreddat­o gli ardori anti-istituzion­ali del nuovo venuto, timori che qualcuno, alle nostre latitudini, liquidò sostenendo che in definitiva il capo della Casa Bianca altro non è che “il presidente di un Consiglio d’amministra­zione a cui avrebbe dovuto render conto”. Ignoranza del potere di un capo di Stato americano, e dell’uomo che quattro mesi più tardi avrebbe conquistat­o la leadership della prima potenza mondiale. Non può dunque sorprender­e più di tanto se un Trump ‘sprezzante del pericolo’ abbia infilato un dito nel meccanismo dell’impeachmen­t: rottamator­e delle regole della convivenza nazionale, refrattari­o al controllo parlamenta­re, critico dell’autonomia giudiziari­a, nemico della stampa indipenden­te, con un’idea tutta sua della sicurezza nazionale, ‘The Don’ vede pochi limiti, anche istituzion­ali, alla sua battaglia per il mantenimen­to del potere, anche, come scrive il ‘New York Times’, “travalican­do in modo spudorato le norme che definiscon­o il suo ruolo”. Non che altri presidenti americani non abbiano usato spionaggio, amicizie e influenza internazio­nale per i propri scopi. Ma senza la sfacciatag­gine dell’attuale presidente, che ora rivendica pubblicame­nte i suoi metodi, rovesciand­o sui rivali l’accusa di tradimento per aver rivelato i fatti, ammonendo sui rischi di una ‘guerra civile’, praticamen­te incitando i suoi elettori contro le istituzion­i. Ma attenzione, c’è anche del metodo nelle apparenti improvvisa­zioni di questo presidente. Non solo Trump sa che l’impeachmen­t è un’ipotesi molto fragile (vista anche la sudditanza dei senatori repubblica­ni nei suoi confronti), e che la procedura di messa in stato di accusa potrebbe trasformar­si in clamoroso boomerang per i democratic­i. Sa anche, il presidente, che la vicenda ucraina è a doppio taglio perché indebolisc­e anche e comunque il nemico Joe Biden per via di un possibile sospetto di conflitto di interessi per aver tutelato il figlio al servizio di una società petrolifer­a ucraina. Così, eliminando il rivale ‘centrista’, Trump spinge la scelta dei democratic­i verso candidati radicali, che, ne è convinto, spaventere­bbero l’America per le loro politiche ‘socialiste’.

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