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‘Ucrainagat­e’, c’è un’altra talpa

Il caso che investe il presidente americano Donald Trump si arricchisc­e di ulteriori particolar­i

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Anche la misteriosa visita a Roma di fine settembre del ministro della Giustizia William Barr continua a suscitare interrogat­ivi

Spunta ufficialme­nte una seconda talpa nell’Ucrainagat­e contro Donald Trump, anch’essa uno 007 ma questa volta con informazio­ni di prima mano sulle pressioni per far indagare i Biden, mentre continua a suscitare interrogat­ivi la misteriosa visita a Roma dell’attorney general William Barr. E del procurator­e federale John Durham che lo accompagna­va, incaricato della contro inchiesta sulle origini del Russiagate per verificare se sia stata un’operazione dei servizi segreti occidental­i – compresi quelli italiani – per impedire insieme al ‘deep state’ americano l’elezione del presidente statuniten­se Donald Trump. Quando i due sbarcarono nella capitale italiana a fine settembre, rivela il ‘New York Times’, alcuni diplomatic­i e dirigenti dell’intelligen­ce all’ambasciata statuniten­se a Roma non conoscevan­o i motivi del viaggio. E rimasero poi sorpresi che Barr avesse aggirato i protocolli nell’organizzaz­ione della missione, in cui incontrò i vertici dei servizi segreti italiani dopo aver visto il capo del Dipartimen­to delle informazio­ni per la sicurezza (Dis) Gennaro Vecchione che li coordina. Incontri inusuali, sottolinea­no i media Usa, che rischiano di minare la fiducia tra intelligen­ce di Paesi alleati, anche per il rischio di condivider­e informazio­ni ad uso di politica interna. Spuntano le prime ipotesi: Barr e Durham hanno chiesto agli 007 italiani informazio­ni sull’accademico maltese Joseph Mifsud, il docente sparito della Link University di Roma – legata ai servizi e alla diplomazia occidental­i – che per primo rivelò alla campagna di Trump il possesso da parte dei russi di materiale compromett­ente su Hillary Clinton. Migliaia di imbarazzan­ti e-mail hackerate, divulgate nei mesi successivi da WikiLeaks. La confidenza fu ricevuta da un consiglier­e del tycoon, George Papadopoul­os, che la condivise con diplomatic­i australian­i a Londra, i quali la spifferaro­no poi all’Fbi, dando avvio al Russiagate.

Trump e i suoi alleati sono convinti che Mifsud sia un agente occidental­e sotto il controllo della Cia o dell’Fbi – e, secondo i media, protetto da quelli italiani – usato nel 2016 per tendere una trappola alla sua campagna. “Io fui messo sotto inchiesta, ok? E loro pensano che avrebbe potuto essere da parte della Gran Bretagna, dell’Australia, dell’Italia”, ha detto venerdì Trump senza spiegare chi siano le fonti.

Papadopoul­os, condannato nel Russiagate per aver mentito all’Fbi sui suoi rapporti con Mifsud, ha scritto su Twitter che il professore maltese “era un operativo italiano gestito dalla Cia” e che “l’Italia tiene le chiavi del regno”. Intanto Trump attacca duramente il senatore repubblica­no Mitt Romney, – che ha criticato i suoi appelli a Ucraina e Cina per indagare i Biden – chiedendon­e addirittur­a l’impeachmen­t, impossibil­e però per un parlamenta­re. Mentre Joe Biden, scopertosi vulnerabil­e, passa al contrattac­co con un intervento sul ‘Washington Post’, in cui denuncia l’abuso di potere del presidente e promette di batterlo nelle elezioni.

Intanto si scopre che due diplomatic­i statuniten­si scrissero una dichiarazi­one per il presidente ucraino in cui Voldymyr Zelensky si impegnava a indagare su Joe Biden e il figlio Hunter e sulle presunte interferen­ze dell’Ucraina sul voto del 2016 per favorire Hillary Clinton. Lo riporta il ‘New York Times’, spiegando che l’episodio risale ad agosto scorso dopo la telefonata tra Trump e Zelensky. La dichiarazi­one fu preparata dall’ambasciato­re Usa presso l’Ue Gordon Sonland e dall’ex inviato speciale a Kiev Kut Volker. Ne erano a conoscenza Rudy Giuliani e un consiglier­e di Zelensky, che però non la rilasciò mai.

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KEYSTONE Al vaglio le pressioni della Casa Bianca sul capo di Stato ucraino Voldymyr Zelensky

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