Portogallo, il socialista Costa verso la riconferma
Lisbona – Sull’onda del miracolo compiuto a partire dal 2015, quando con il suo governo ha risollevato l’economia del Portogallo, superando l’austerità pur rimanendo nei paletti di bilancio imposti da Bruxelles, il socialista Antonio Costa conquista una riconferma alle urne, che appariva praticamente scontata. Alle elezioni parlamentari i portoghesi, nonostante un’astensione record tra il 44% e il 49%, hanno premiato il suo partito socialista con un dato tra il 34,5% e il 38% secondo gli exit poll, mentre il Partito socialdemocratico (di centro destra a dispetto del nome), si ferma dieci punti più in basso. La Coalizione democratica unitaria che riunisce tre partiti di estrema sinistra tra cui i comunisti è al 2,94,9%, il Partito popolare (di destra) al 68%, il Blocco di sinistra, sempre di orientamento socialista, al 7,7-11,7% e gli ambientalisti Pan (Persone-Animali-Natura) al 2,7-4,7%.
Anche stavolta nessuno ha raggiunto una maggioranza assoluta e Costa dovrà esercitare la sua abilità negoziale per riproporre un’alleanza di governo, come nel 2015 quando varò il suo esecutivo insieme al partito comunista e al Blocco di Sinistra. Con questi ultimi, i rapporti non sono al top e si parla anche di un possibile coinvolgimento degli ambientalisti di Pan. In ogni caso, Costa è determinato a rimanere alla guida del Paese. “Governerò con qualsiasi condizione i portoghesi mi daranno per governare”, aveva dichiarato la settimana scorsa al canale televisivo locale Cmtv.
In campagna elettorale, Costa ha promesso di rendere l’immigrazione più facile abolendo un sistema di quote introdotto a suo tempo dal centro-destra. Alla base del problema c’è soprattutto il basso tasso di natalità, che minaccia il finanziamento del sistema di welfare anche alla luce delle previsioni Ue, secondo cui la popolazione del Portogallo scenderà a 6,6 milioni nel 2100 rispetto agli attuali 10,3 milioni.
Ma la carta vincente di Costa rimane l’economia. Dopo la profonda recessione e il salvataggio di 78 miliardi di euro chiesto all’Ue e all’Fmi nel 2011, durante il suo governo il Pil è cresciuto dello 0,19% nel 2014 e del 2,1% nel 2018. Il tasso di disoccupazione si è dimezzato al 6%.