Da lavoratori precari a dipendenti?
Doveva essere l’alba di una nuova era. La California che, dalle leggi per la tutela dell’ambiente all’introduzione di un salario minimo di 15 dollari l’ora, spesso è stata un apripista per il resto dell’America indicando la via delle riforme possibili, sembrava porsi di nuovo all’avanguardia con AB5.
L’AB5: la nuova normativa, approvata dal Senato dello Stato della West Coast un mese fa, che trasforma i lavoratori precari e senza tutele della gig economy in dipendenti. Coi relativi diritti: dalle ferie pagate alla copertura sanitaria. Per quanto dura, a causa delle prevedibili resistenze delle aziende abituate a usare contractors indipendenti al posto di personale proprio, la battaglia sembrava, ai politici democratici che l’hanno combattuta, non solo sacrosanta ma anche facile da vincere, almeno in termini di immagine e popolarità, una volta superato lo scoglio dell’approvazione parlamentare.
‘La nuova legge dovrebbe sanare ingiustizie e favorire una distribuzione più equilibrata dei redditi in uno Stato ricchissimo ma segnato da disuguaglianze estreme’
Con 40 milioni di abitanti e un Pil di tremila miliardi di dollari (più dell’Italia, ma anche più di Francia e Gran Bretagna), la California ha 4 milioni di lavoratori indipendenti, più della metà dei quali sono classificati dai centri di ricerca progressisti come dei dipendenti mascherati. La nuova legge dovrebbe sanare ingiustizie e favorire una distribuzione più equilibrata dei redditi in uno Stato ricchissimo ma segnato da disuguaglianze estreme.
Non solo – dice Lorena Gonzalez, attivissima parlamentare di San Diego – più salario e protezione per i lavoratori svantaggiati, ma anche uso più equo delle risorse pubbliche: oggi le tasse dei cittadini vengono usate anche per pagare programmi sanitari d’emergenza per questi lavoratori privi di copertura medica.
Ma i principi di equità sociale vanno poi filtrati attraverso i cambiamenti strutturali del mercato del lavoro. Il Parlamento non lo ha fatto inizialmente ed è stato costretto, in corso d’opera, a inserire affannosamente nella legge una serie di esenzioni: non solo medici, avvocati e broker delle assicurazioni, come previsto fin dal principio, ma anche parrucchieri, agenti immobiliari, contabili e i contractor del giganti della tecnologia che svolgono funzioni specifiche. In molti casi (ma non sempre) si tratta di titolari di mestieri giudicati in grado di proteggersi da soli o che, comunque, non possono avere un datore di lavoro, né intendono diventarlo nei confronti di chi collabora saltuariamente con loro.
La riforma non è nata sotto una buona stella
Che la riforma non fosse nata sotto una buona stella lo si è capito quando gli stessi proponenti hanno cominciato a spiegare che le nuove norme avrebbero trasformato in dipendenti circa un milione di precari: cioè meno della metà della platea inizialmente considerata. Praticamente gli autisti di Uber, Lyft, i fattorini di servizi come Doordash e Handy, i prestatori di altri servizi on demand e alcuni tipi di lavoratori della sanità e dell’istruzione.
Una conferma delle difficoltà è venuta a fine settembre quando il governatore della California ha controfirmato e promulgato la riforma. Gavin Newsom, un politico di grande visibilità mediatica che attacca continuamente le scelte di Trump e ama presentarsi come il leader giovane di un’America che guarda al futuro, ha evitato conferenze stampa e interviste per non dover rispondere a domande imbarazzanti sui criteri usati per concedere le esenzioni, chieste a gran voce (e senza successo) anche da chi svolge certi mestieri relativamente umili. Ad esempio il Parlamento della California ha escluso gli anestesisti e gli ortopedici in quando medici, ma non gli infermieri anestesisti e i fisioterapisti che spesso svolgono funzioni simili a quelle dei medici, soprattutto nelle zone rurali a bassa densità abitativa, spesso prive di ospedali.
Il rischio dell’effetto boomerang
Così una legge che oggettivamente rappresenta una vittoria per i lavoratori e i sindacati, col riconoscimento dei diritti della manodopera più debole, rischia di avere anche un effetto boomerang. Chi, ad esempio, svolge servizi a domicilio e rischia di perdere il lavoro se chiede al paziente di un ciclo di fisioterapia di comportarsi da datore di lavoro, è in rivolta e si accinge a chiedere una revisione della legge quando la legislatura della California riprenderà i lavori, all’inizio di gennaio. La legge entrerà in vigore in quegli stessi giorni. Intanto Uber e Lyft, che non hanno preso per niente bene l’obbligo di trattare gli autisti come loro dipendenti, vogliono organizzare un referendum abrogativo della legge. E non è detto che lo perderanno: i cittadini apprezzano la flessibilità di queste alternative al taxi, ma anche gli stessi autisti sono divisi. Molti di loro hanno cercato di organizzarsi come rappresentanza sindacale e hanno manifestato nelle strade delle città californiane per il riconoscimento dei diritti tipici di un dipendente. Ma altri hanno preso le distanze dalla riforma nel timore di perdere, da dipendenti, la libertà che hanno oggi di iniziare a lavorare in qualunque momento e di smettere quando vogliono, semplicemente aprendo e chiudendo un’app.
I veri vincitori della battaglia? Gli avvocati
I veri vincitori di questa battaglia rischiano di essere gli avvocati: la legge, infatti, enuncia principi in modo abbastanza generico, lasciando la porta aperta a interpretazioni divergenti. Gli agricoltori, ad esempio, temono di dover trattare da dipendenti i camionisti che durante la stagione del raccolto vanno a caricare frutta e verdure nelle loro fattorie, mentre le organizzazioni religiose rischiano di dover assumere a tempo pieno i collaboratori saltuari delle parrocchie.
La California teme, poi, di perdere business importanti. Los Angeles, ad esempio, è una mecca della musica, ma gli artisti minacciano di abbandonare i suoi studi di registrazione e di andare altrove, se dovranno assumere musicisti e tecnici che collaborano alla realizzazione di un disco.
I prossimi mesi diranno se la California saprà garantire meglio i diritti dei lavoratori senza penalizzare gli affari. Il clima politico infuocato della campagna elettorale non aiuta.