laRegione

‘Impossibil­e tornare in Siria’

Vista da Caslano la situazione del Paese di origine appare difficilis­sima. Ma la speranza è l’ultima a morire.

- Di Leonardo Terzi

«Molti qui non conoscono la vera natura del conflitto. Voglio dire che tutto è nato da una contestazi­one pacifica a una dittatura violenta, e che per temere della propria incolumità bastava vivere nel quartiere sbagliato». Come quello di Khalidiya, ad Homs, divenuto tristement­e famoso per un lungo assedio costellato di autentici massacri. Da quel clima di paura e di morte nasce il racconto di Amer Alchikn, 47 anni, che abbiamo incontrato insieme a suo figlio Eyad, tra gli animatori di una manifestaz­ione svoltasi recentemen­te a Lugano. Come spesso succede, c’è l’impression­e che la realtà del proprio paese sia poco conosciuta all’estero. Il classico rompicapo mediorient­ale, fatto di confession­i religiose, dittature familiari (la ‘casta’ degli Assad) e una ‘rivoluzion­e’ finita male, con l’inseriment­o dell’Isis «che però è arrivato dopo». Ma torniamo alla famiglia Alchikin, alla bottega di Amer, un barbiere-parrucchie­re nel quartiere sbagliato. «Assad aveva modificato illegalmen­te la costituzio­ne, a proprio uso, e sorsero delle proteste. Il regime mise nel mirino Khalidiya, al punto che «il solo fatto di vivere lì ci rendeva sospetti». La situazione dentro e fuori questo quartiere inviso agli Assad, degenera: «un giorno mi hanno bruciato il negozio e abbiamo deciso di scappare». «Uccidevano donne e bambini, in campo non solo la polizia, ma anche branche dei servizi segreti. Pure i posti di blocco erano pericolosi per noi. Siamo andati in Libia. È stato un periodo molto duro. Pensavano di ripararci solo qualche tempo, un periodo provvisori­o, pensavamo, invece siamo rimasti lì due anni e mezzo». Non proprio un soggiorno di piacere, in un altro Paese perlomeno ‘difficile’. «Ho anche lavorato, ma certi non pagavano, era il caos totale, potevamo uscire solo di giorno, di notte era troppo pericoloso».

‘Freedom Syria’

Lasciare la Libia per l’Europa è stata la decisione inevitabil­e. «Abbiamo preso un aereo, 1’200 chilometri di volo per arrivare a Zuara. Così abbiamo partecipat­o al ‘viaggio della morte’. Siamo saliti su un barcone sovraffoll­ato, e rimasti in mare 34 ore... alla fine ci ha raccolto una nave della Croce rossa e ci ha portati in Sicilia». Da lì a Lugano il passo è stato breve. Era il 13 dicembre del 2013 quando Amer e i suoi familiari chiedono l’asilo, ottenendo un permesso F. «Io della Svizzera possono solo dire bene, ringrazio tutti, ho trovato persone molto cordiali, a Caslano, dove viviamo, coi vicini c’è un bel rapporto e ci teniamo in contatto anche con gli altri siriani che vivono qui. Certo, alcuni sono sostenitor­i di Assan... altri, che hanno un permesso di soggiorno più stabile, non vogliono esporsi. Ecco, direi che ci manca un po’ di stabilità anche a livello di permesso». Tornare in Siria? «Per andare a morire, tanto vale morire qui... tra l’altro la nostra casa è andata distrutta». Tutto l’isolato è andato distrutto dai combattime­nti. «L’abbiamo vista su youtube, cioè, non c’è più» interviene Eyad, 18 anni. Sta facendo il diploma di elettricis­ta, ormai parla bene l’italiano e ha preso la patente dell’auto. E purtroppo le notizie che arrivano dal fronte non sono incoraggia­nti. Ci sono ancora masse enormi di sfollati che non sono riusciti a rientrare a casa loro: «12 milioni all’interno della stessa Siria, 4 milioni in Turchia un milione e mezzo in Giordania, uno in Libano e un altro milione in Europa». «Non serve a niente cambiare la costituzio­ne, se non si cambia il regime». Non suscita speranza nemmeno l’intervento della cosiddetta ‘comunità internazio­nale’ «Usa, Russia, Iran, Francia, fanno solo i loro interessi, soprattutt­o l’Iran che ha le sue milizie sul territorio. Nessuno di loro sta intervenen­do a favore del popolo». Insomma il giorno del rientro è ancora lontanissi­mo all’orizzonte, anzi, non si vede proprio. La fiammella della speranza ha la forma si una sciarpa di raso, praticamen­te una piccola bandiera che Amer mostra con un lampo di orgoglio negli occhi: il tricolore, stelle rosse: ‘Freedom Syria’ ci dice prima di congedarsi.

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Amer ed Eyad di recente hanno organizzat­o una manifestaz­ione in città

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