Albers anche senza colori
Abbiamo a che fare con poco materiale: per lo più dei quadrati colorati. Ma dobbiamo essere consapevoli che su quel materiale possiamo trascorrere tempi enormi a riflettere, a osservare, a meditare, a godere.
‘Anatomia di Omaggio al Quadrato’: il titolo della mostra con la quale Bellinzona presenta al pubblico il lavoro di Josef Albers è significativo. Si vuole infatti offrire la possibilità di comprendere – attraverso una analisi circoscritta del modo di lavorare di questo artista che è una figura centrale dell’arte del secolo scorso e della modernità – alcuni aspetti della «transizione dalla astrazione classica alla astrazione moderna e al minimalismo», come ha detto Carole Haensler, la direttrice del Museo di Villa dei Cedri. In effetti, l’iniziativa bellinzonese genera vari elementi di interesse.
Un elemento consiste nel proporre al pubblico la questione del colore anche attraverso la procedura della ricerca e della preparazione. Vi è infatti, nel lavoro di Albers, una questione fondante: cosa è il colore. E si tratta di una questione fondamentale in tutto il lavoro artistico. Consapevole del fatto che il colore è determinante della rappresentazione ma è anche relativo alle condizioni ambientali e alla soggettività di chi ne fruisce, Albers affronta e sviluppa il tema del colore in modo seminale, cioè aprendo possibili strade che poi sono state sfruttate da molti altri.
Egli lavora per anni sulle fonti alle quali un pittore può attingere e produce una grande quantità di materiale fotografico che gli è utile nelle scelte espressive; poi nel corso del tempo elabora alcuni moduli con i quali egli distribuisce alcuni colori, stabilendo in anticipo la quantità o meglio la misura della superficie utilizzata, in dipinti che noi vediamo come semplici figure geometriche. In mostra noi vediamo alcune fotografie scattate in Messico, degli oli su tavola o masonite con forme geometriche sovrapposte, il bellissimo ‘Rhomboid in Red’ del 1942, poi alcuni affascinanti lavori come ‘Familiar Front’ del 1948-52, nei quali Albers sviluppa la stessa superficie di colori su forme rettangolari e per passare poi ai lavori sviluppati sul quadrato, a proposito dei quali la mostra ci propone anche schizzi e studi di preparazione. C’è da trascorrere, volendo, un bel po’ di tempo a seguire come l’artista passa dallo studio dei colori che vediamo negli schizzi e negli studi alla stesura definitiva di un quadro, come il lavoro cambia nel caso di giustapposizione e nel caso di sovrapposizione di colori e cosa succede quando si passa dal lavoro singolo costruito con la pittura al prodotto stampato in serigrafia o in litografia.
Come spesso succede nella modernità, potremmo anche dire che abbiamo a che fare con poco materiale (tutto sommato, per lo più abbiamo dei quadrati colorati) ma dobbiamo essere consapevoli che su quel materiale minimale possiamo trascorre tempi enormi a riflettere, a osservare, a meditare, a godere. Nel caso dei lavori sviluppati sui rettangoli c’è anche un po’ il rischio di perderci e di non riuscire a capire cosa stiamo vedendo, a causa delle alterazioni generate
dalle sovrapposizioni cromatiche.
La relatività della percettiva visiva
Un altro elemento di interesse ci viene offerto dalla mostra allestita presso il Castelgrande e intitolata ‘Vedere con le mani - Percorso tattile sulle forme e i colori di Josef Albers’, anche questa organizzata in collaborazione con la Josef and Anni Albers Foundation e con il supporto scientifico dell’Istituto dei Ciechi di Milano. Ora, il fatto che proprio un lavoro che ruota in modo così concentrato, insistente, metodico, sperimentale ma anche di immediata gradevolezza, sul colore venga proposto attraverso la deviazione sensoriale della privazione della vista diventa una opportunità per tutti noi che siamo convinti di poter godere appieno delle nostre molteplici facoltà percettive; ci indica, inoltre, anche di quali privilegi dispongono le persone considerate handicappate. Il non vedente, privo di quella percezione, dispone della opzione di sviluppare in modo particolarmente potente e funzionale le altre e si trova quindi a essere superdotato di una serie di strumenti proprio a causa della mancanza di disponibilità di uno strumento.
Al di là di questo aspetto politico che ci induce a rivedere le nostre gerarchie sociali e la relazione tra persone considerate normodotate e persone prive di alcune facoltà, l’esperienza a Castelgrande ci consente di indugiare sul concetto di traduzione e sulla relatività della nostra capacità percettiva visiva.
A questo proposito possiamo citare un aneddoto. Il Museo di Villa dei Cedri propone le proprie sale con le finestre chiuse e l’illuminazione artificiale, generando disagio. La luce che incide sui quadri è regolata su una certa potenza che potrebbe sembrare scarsa ma è interessante sapere che una maggior potenza genererebbe una luce interna ai quadri di Albers che ne altererebbe la natura cromatica in un modo ritenuto eccessivamente fuorviante. Consapevoli della relazione critica tra la luce generata dai colori e quella che incide sui colori, possiamo approfittare delle circostanze ambientali relative alla luce e sviluppare la nostra coscienza critica e la nostra cultura percettiva.
Quindi, avvicinarci al mondo di Albers e al suo lavoro è per tutti noi una fortuna: affrontiamo il tema del colore in una trattazione radicale, nel duplice senso di questo termine: perché egli esclude coraggiosamente elementi e fattori devianti e da questo punto di vista la scelta del quadrato è importante; perché va a cercare alle radici del problema, scegliendo un materiale e cioè una fonte espressiva la cui natura è chiara nel senso che diventa una specie di assioma. Ciò vale se per materiale e fonte intendiamo il quadrato; vale parimenti se intendiamo il colore e infatti Albers procedeva per serie, utilizzando tutto lo spettro possibile offerto da una specifica azienda produttrice di colori.