laRegione

Qui Stoccolma a voi Addis Abeba

- Di Matteo Caratti

Dopo che la Turchia (Paese Nato!) ha invaso la Siria (protetta dalla Russia) e nuovi venti di tempesta potrebbero presto soffiare anche sull’Europa – quell’Europa che ha pagato Erdogan per fermare i siriani in fuga – e mentre ci si chiede dove fuggiranno i militanti Isis imprigiona­ti nel Nord-est della Siria messo a ferro e fuoco dall’attacco turco, da un altro continente giunge una buona notizia. Piccola e grande al contempo: il Nobel per la pace 2019 va dritto in Africa, precisamen­te ad Abiy Ahmed, il premier etiope artefice dello storico accordo di pace con la vicina Eritrea. Un innovatore politico, capace di osare e di spegnere un conflitto che durava da quasi trent’anni, focolaio di diaspore e scontri nel Corno d’Africa. La sua coraggiosa visione politica lo ha portato a nominare un governo la cui metà sono donne, a scarcerare migliaia di prigionier­i politici, a legalizzar­e il partito d’opposizion­e, ad allentare la censura e persino a far piantare milioni di alberi per contribuir­e ad arginare i cambiament­i climatici. Di lavoro ne resta molto, ma è un buon inizio.

Per un continente che conosciamo soprattutt­o per la voglia di emigrare/fuggire (per motivi politici, umanitari, economici) costi quel che costi, viaggiando per mesi dopo aver spesso subito indicibili umiliazion­i e affidato la propria vita a trafficant­i di esseri umani per raggiunger­e la terra promessa europea, è una preziosa boccata di ossigeno: a Stoccolma ci vedono e ci capiscono. L’Etiopia, Paese poverissim­o, balzato alla ribalta della cronaca mondiale fra il 1983 e l’85 per una spaventosa carestia assommatas­i all’instabilit­à politica (tanti ricorderan­no l’immagine del bimbo morente tenuto d’occhio da un avvoltoio), che mobilitò una catena di aiuti umanitari anche grazie ad un maxiconcer­to, da qualche anno conosce una nuova primavera. Non da ultimo anche grazie a importanti investimen­ti cinesi, che non sono sempre da benedire, visto che in economia ci si muove se c’è un interesse. Che ad Addis Abeba vi sia ora un premier distintosi per la sua azione a favore della pace, della promozione dei diritti delle donne, della libertà di opinione tanto da ottenere il Nobel, può anche servire da stimolo per altri Paesi della regione. Cambiare qualcosa (forse) si può. Di riflesso, l’azione premiata di un ‘yes we can’ africano, aiuta (o aiuterà) anche a smussare qualche tensione sul fronte migratorio, perché quell’ostinato conflitto ha portato tanti eritrei a bussare alle porte della Svizzera e di altri Paesi europei in cerca d’asilo e di una vita che non fosse uno stato di guerra e allerta permanente. Addis Abeba significa nuovo fiore. Vedremo quanto fiorirà.

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