Pilatus riceve l’appoggio degli esperti del Parlamento
Pilatus ha ricevuto l’appoggio del Parlamento nell’ambito della controversia sul divieto delle sue attività in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti: la Commissione della politica di sicurezza (Cps) vuole infatti che il costruttore aeronautico possa riprendere ad offrire i propri servizi ai due Paesi.
Ieri la Cps del Consiglio degli Stati ha presentato (con 7 voti contro 3) una mozione che mira a modificare la legge federale sulle prestazioni di sicurezza private fornite all’estero (Lpsp). Secondo la commissione, non era infatti intenzione del legislatore di vietare alle aziende svizzere la fornitura di assistenza, formazione e manutenzione in loco per i beni che hanno venduto all’estero. Lo scorso agosto anche la Cps del Nazionale aveva presentato una mozione la quale chiedeva che i servizi relativi alle merci esportate devono continuare a essere consentiti fino a quando il Tribunale amministrativo federale (Taf) non avrà preso una decisione sul caso Pilatus o le Camere federali non avranno modificato la legge in questione.
In luglio, il Dipartimento federale degli affari esteri aveva vietato tutte le attività di Pilatus in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, paesi coinvolti nella guerra nello Yemen. Secondo le autorità federali, si tratta di “supporto logistico all’esercito” in contrasto con le disposizioni di legge. L’azienda di Stans (Nw) si è quindi appellata al Taf.
Intanto, sempre ieri, Pilatus ha ricevuto il via libera per tornare a operare in maniera limitata in India, dove si era visto imporre uno stop totale in seguito all’accusa di corruzione e irregolarità nell’ambito della fornitura di 75 velivoli d’addestramento destinati all’aeronautica militare del Paese. Lo scorso giugno l’agenzia governativa indiana che si occupa di inchieste criminali, sicurezza nazionale e intelligence, aveva denunciato un “complotto criminale” tra Pilatus e un un uomo d’affari attualmente in fuga. Gli investigatori hanno affermato di aver scoperto pagamenti di quasi 51 milioni di franchi su conti di una società di consulenza riconducibile all’uomo, soldi che – questo il sospetto – sarebbero serviti per influenzare le scelte dei funzionari indiani a favore del PC-7.