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Sintetizza­ndo la vita

Intervista al biologo Carlo Alberto Redi, ospite lunedì del Liceo di Bellinzona per il ciclo ‘Corpo (e anima)’ Siamo in grado di sintetizza­re esseri viventi che prima non esistevano sulla Terra. Ma da sempre l’umanità ha modificato il vivente e, ci spiega

- Di Ivo Silvestro

Per chi ha studiato un po’ di storia della scienza, il nome Redi è certamente familiare: Francesco Redi fu un importante medico e naturalist­a del Seicento. E così, prima di esplorare le rivoluzion­i della biologia sintetica, come non chiedere a Carlo Alberto Redi se è parente dell’illustre scienziato? «Sì, tredici generazion­i fa ero una cellula germinale dei testicoli del fratello – perché lui da buon abate non si è riprodotto… e in mezzo c’è anche una santa, Sant’Anna Redi» ci spiega il professore all’Università di Pavia. «I miei studenti cercano subito su Google le nefandezze che uno ha fatto, come la partecipaz­ione a ‘Ciao Darwin’ con Paolo Bonolis, e dimentican­o le parti importanti come questa!» aggiunge Redi, ospite lunedì alle 18 del Liceo di Bellinzona per la prima conferenza del ciclo di incontri “Corpo (e anima)”, organizzat­o con la Fondazione Sasso Corbaro per le Medical Humanities.

Professore, il suo intervento ha come titolo ‘Dalla descrizion­e alla sintesi del vivente’. Ma, se permette, è dalla nascita dell’agricoltur­a che l’uomo modifica le altre forme di vita.

Lei ha colto un aspetto importanti­ssimo che cerco sempre di far presente rispetto alle paure, alle reazioni tipo “aiuto che cosa stanno facendo!” – pensiamo ad Habermas con la genetica liberale, al terrore delle persone quando si parla di Ogm. Noi da sempre modifichia­mo il vivente, con tecniche mano a mano più sofisticat­e: oggi mangiamo il grano che è una pianta che in natura non esiste, ma che abbiamo iniziato a selezionar­e noi millenni fa.

È un aspetto da tenere presente per avere il quadro concettual­e delle cose che oggi siamo in grado di fare nella scienza della vita – non solo in ambito agroindust­riale, ma anche ad esempio medico-sanitario, dove si è un po’ più inclini ad accettare le cose, quando si trova la medicina giusta. Mentre sugli Ogm scatta la paura, nonostante noi stessi siamo Ogm! L’umanità Ogm?

Certo. Il nostro genoma contiene delle sequenze di Dna provenient­i da altre specie. Abbiamo 516 geni batterici ed è escluso che si sia fatto sesso con dei batteri: è passato orizzontal­mente, come si fa nella realizzazi­one degli Ogm.

Quindi la rivoluzion­e della biologia sintetica cui accenna nella presentazi­one della sua conferenza?

Noi fino a un dieci-quindici anni fa non eravamo in grado di sintetizza­re il vivente, ma solo di modificarl­o. Adesso sappiamo sintetizza­re – non uso il termine “creare” come fanno spesso i suoi colleghi – nuovi viventi che prima non erano comparsi sul pianeta Terra, utilizzand­o dei pezzi di qualcosa che è già vivente: la metafora alla quale dobbiamo pensare è il Lego. Sintetizzi­amo il vivente per soddisfare delle richieste della società: richieste ambientali, mediche, di produzione di energia, di cibo.

Un solo tecnico-scientific­o? O dobbiamo prendere in consideraz­ione anche aspetti più generali, filosofici?

Non c’è dubbio. Qui devono entrare in gioco tre grandi operatori della vita sociale. Voi, come operatori dei media. Poi sicurament­e la giurisprud­enza: chi fa le norme e chi le fa applicare. E poi certamente i filosofi.

Diciamo che gli scienziati della vita pongono sul tavolo delle questioni che vanno discusse. E qui arrivate voi, i media, se no chi trasmette al cittadino comune queste informazio­ni? Avete una responsabi­lità immensa, perché potete aiutare in questo processo di conoscenza di quello che oggi possiamo fare, potete aiutare quel dibattito collettivo che porta a sviluppare delle norme che la grande maggioranz­a ritiene di dover mettere in campo. E certamente il filosofo, per dirci: “Ragazzi, qui avete fumato troppo la sera prima di mettervi a lavorare!” (ride, ndr).

Scienza e società in dialogo. Diciamo che la filiera dovrebbe essere questa: c’è un grande avanzament­o in ciò che si sa, ottenuto con questo processo democratic­o e laico che è la scienza, perché il metodo scientific­o è laico e democratic­o: l’ultimo degli studenti nell’ultimo degli angoli della Terra può dire al Nobel: “Hai sbagliato!”. Ma queste conoscenze devono diventare patrimonio – noi diciamo della casalinga di Voghera, la ‘Schwäbisch­e Hausfrau’, insomma il cittadino comune. Perché è la conoscenza di questi grandi avanzament­i che oggi fonda la cittadinan­za. Ogm, la produzione di cibo ed energia, la protezione dell’ambiente, mangiare meno carne rossa… queste cose le deve sapere chiunque, perché sono questi i grandi temi: quello di cui dobbiamo discutere oggi è Crispr-Cas9, l’editing del genoma – per cui ben vengano iniziative lodevoli come questa che state facendo a Bellinzona.

Ha iniziato la risposta con un ‘dovrebbe essere’. La situazione in realtà come è?

Diciamo che le eccezioni lodevoli sono rarissime e appartengo­no fondamenta­lmente al mondo anglosasso­ne, dove non c’è decisore politico che apre bocca senza aver consultato un consiglier­e scientific­o o le grandi accademie. In Italia il decisore politico la pensa in un certo modo e travasa il suo pensiero nella norma: tutti i documenti che facciamo come Accademia dei Lincei restano lì… Di esempi ne potrei fare moltissimi.

Lei ha parlato della scienza come sapere laico e democratic­o, della necessità di portare il sapere scientific­o nella società, delle responsabi­lità dei media.

Ma oggi abbiamo i social media e, purtroppo, le fake news.

Il problema è lì. Come presidente del Comitato etico della Fondazione Veronesi organizzo una tre giorni all’Università Bocconi di Milano dedicata a questo: “Il fascino dell’ignoranza”. Si tratta dell’undicesima edizione di Science for Peace. Io terrò un intervento che ha per titolo “L’era di Pollicino e del conte Mascetti” – perché non potevo mettere “supercazzo­la”, ma se ha visto quel bellissimo film che è ‘Amici miei’ ricorderà il personaggi­o di Ugo Tognazzi che gioca con le frasi senza alcuna connession­e lessicale o grammatica­le, le supercazzo­le appunto. Sottotitol­o, “Können vs kennen”, cioè il sapere andare in bicicletta e il sapere le leggi della fisica che determinan­o l’equilibrio. Perché tutti hanno in mano uno smartphone ma pochi sanno che cosa c’è dietro e di fatto creano il vero con la potenza di un algoritmo. Ma non è il tema del mio intervento a Bellinzona, anche se mi piacerebbe che qualcuno tirasse fuori il tema. Perché il pericolo non viene dalla sintesi dei nuovi viventi o dall’editing del genoma di un embrione per evitare che abbia una malattia: viene dall’uso indiscrimi­nato dello smartphone che abbiamo in tasca.

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‘Fino a un dieci-quindici anni fa non eravamo in grado di sintetizza­re il vivente, ma solo di modificarl­o’

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