Le ferite ancora aperte del passato, la tensione verso l’innovazione
Seul – «Non posso perdonare i giapponesi per quanto hanno fatto». Con un filo di voce, questo ci dice la novantenne Kim Yong Soo al termine di una cerimonia in occasione dell’inaugurazione di una statua dedicata alle cosiddette ‘donne di conforto’. Lei è una delle ultime superstiti viventi di una delle pagine più vergognose del Novecento. Tra il 1932 ed il 1945 circa 200mila donne – principalmente coreane, ma anche cinesi e filippine – furono costrette a prostituirsi nei postriboli dell’Esercito imperiale nipponico. Schiave alla mercé dell’occupante di allora.
La presente questione insieme a quella delle compensazioni per chi è stato obbligato ai lavori forzati avvelena i rapporti bilaterali.
Bisticci commerciali con Giappone
L’accordo di riappacificazione del 1965 tra Giappone e Corea, aggiornato tre anni fa ma rigettato da Seul, non soddisfa più. Così ora i due Paesi asiatici sono addirittura sull’orlo della guerra commerciale per la limitata consegna da parte di Tokyo di materiale necessario per i microprocessori. Il 91% del volume totale per l’industria coreana arriva proprio dal Giappone. Ma gli americani stanno mediando tra i loro due maggiori alleati regionali. Se si visita la Città digitale della Samsung a Suwon (30 minuti in treno, un’ora e mezzo in metrò) si comprende quanto la Corea del Sud sia ben dentro al futuro: una decina sono i grattacieli del complesso, dove spicca l’Accademia per i giovani talenti; il museo dell’innovazione è un viaggio nel tempo dall’Ottocento ad oggi con le più recenti diavolerie. Quando è l’ora di pranzo una marea sterminata di giovani tra i 25 ed i 30 anni esce dai laboratori e dagli uffici. Nei garage si è soprattutto colpiti dall’alto numero di automobili di lusso.
In Corea a partire dagli anni Sessanta si è seguito lo schema ‘francese’ con la creazione di ‘campioni’, qui definiti ‘agglomerati’, sostenuti direttamente o indirettamente dallo Stato per cercare di inserirsi in settori economici cruciali a livello internazionale. E a giudicare da come i marchi sudcoreani si sono imposti in giro per il mondo, l’operazione è ampiamente riuscita in un Paese, esteso poco più di due volte e mezza la Svizzera, con un Pil pro capite annuo di 31mila dollari circa. L’11esima economia mondiale. I vari palazzi reali a Seul, ora circondati da giganteschi grattaceli, sono l’immagine emblematica di un Paese diviso tra le ferite del passato ed il futuro avveniristico.