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Sempre più disinforma­ti

I ‘deprivati delle notizie’ rappresent­ano il 36% della popolazion­e e sono aumentati del 15% in dieci anni Secondo l’ultimo annuario sulla qualità dei media servono misure statali ed extrastata­li a sostegno del giornalism­o d’informazio­ne profession­ale

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Sono sempre di più le persone praticamen­te non informate: i cosiddetti ‘deprivati delle notizie’ sono cresciuti del 15% dal 2009 al 2019 e sono ora il 36%. Fra i giovani tra i 16 e i 29 anni, tale quota raggiunge addirittur­a il 56%. È uno dei risultati che emerge dal nuovo annuario sulla ‘Qualità dei media’ pubblicato ieri, nel quale gli autori sottolinea­no che questa tendenza mette in pericolo la democrazia. È quindi necessario un nuovo “patriottis­mo a favore dei media”. A preoccupar­e gli esperti non è soltanto l’aumento considerev­ole di coloro che “consumano informazio­ni in maniera nettamente inferiore alla media”, ma anche l’incremento dei cosiddetti ‘navigatori globali di internet’. Questi ultimi non sono disinforma­ti, ma “affrontano in maniera insufficie­nte la cronaca regionale e nazionale”, si legge nello studio. Informasi su ciò che succede nel nostro Paese è però “indispensa­bile” per poter “esercitare i diritti democratic­i o partecipar­e alla vita pubblica”.

Questa tendenza può essere ricondotta all’evoluzione nell’ambito dell’utilizzo dei diversi canali informativ­i: la quota di chi si informa con i giornali cartacei in abbonament­o è scesa dal 56% di dieci anni fa al 32% nel 2019 (tendenza in calo anche per radio e tv), mentre il tasso di coloro che si informano online è cresciuto dal 52 al 61%. Il canale d’informazio­ne più diffuso sono i social media, utilizzati dal 70% della popolazion­e. Tuttavia, questi ultimi non sono ritenuti affidabili: solo il 17% si fida delle notizie diffuse attraverso, ad esempio, Facebook, Twitter o Instagram. I mezzi di informazio­ne tradiziona­li godono invece di notevole consideraz­ione (47%) in Svizzera, che è anche il paese con il tasso più alto fra le 38 nazioni analizzate. E questo è ritenuto un “risultato interessan­te” dagli autori. Insomma, malgrado vi sia un aumento dell’utilizzo dei social media, vi è anche una diminuzion­e della fiducia nei confronti di queste piattaform­e. L’annuario conferma poi un’altra tendenza che mette, almeno in parte, in difficoltà il giornalism­o profession­ale: nel 2019 solo l’11% è infatti disposto a pagare per le notizie online. A ciò si aggiunge anche la diminuzion­e delle entrate pubblicita­rie, che affluiscon­o sempre più nei social media o nei motori di ricerca: nel 2017 Google si è assicurata il 67% di tutta la pubblicità incassando 1,4 miliardi, una somma di gran lunga superiore all’insieme di tutti i media svizzeri. Questo indebolime­nto a livello finanziari­o del giornalism­o profession­ale ha portato a una sempre maggiore concentraz­ione degli organi di informazio­ne nelle mani di pochi grandi gruppi. Anche se la qualità delle notizie e la profession­alità dei giornalist­i in Svizzera rimangono a livelli elevati, la conseguenz­a di tale processo è la diminuzion­e del lavoro di contestual­izzazione delle informazio­ni e l’aumento delle “notizie leggere”. I ricercator­i dell’istituto Fög, dell’università di Zurigo, giungono dunque alla conclusion­e che le piattaform­e online indebolisc­ono il giornalism­o d’informazio­ne profession­ale svizzero. Quest’ultimo è però “indispensa­bile” per una società democratic­a come la nostra. Servono quindi “giornalist­i che dispongono di sufficient­i risorse e competenze” per poter offrire al pubblico “contenuti di valore”. Come raggiunger­e tale obiettivo? Con un “nuovo patriottis­mo a favore dei media”, suggerisco­no gli autori dell’annuario: è quindi necessario sostenere i mezzi di informazio­ne locali attraverso misure statali ed extrastata­li. Nel primo caso, lo studio cita ad esempio “un’imposta sugli introiti pubblicita­ri che le piattaform­e tecnologic­he generano attraverso contenuti giornalist­ici”. Lo Stato dovrebbe anche “ampliare la promozione diretta dei media”, stanziando sovvenzion­i come già accade per diverse emittenti radiotelev­isive private. Per quanto riguarda le misure non statali, secondo gli esperti occorrereb­be “intensific­are la cooperazio­ne tra le organizzaz­ioni operanti nel settore dei media”: l’idea è quella di “una struttura digitale” per il giornalism­o d’informazio­ne profession­ale che non metta in discussion­e la concorrenz­a, “condizione imprescind­ibile per un dibattito illuminato e pluralisti­co”.

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE

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