Il primo obiettivo è raggiunto: togliere di torno gli statunitensi
Se era un obiettivo, è di fatto già stato raggiunto. In meno di una settimana, l’offensiva turca in Siria ha già ottenuto l’allontanamento degli americani, che finora avevano protetto e armato i curdi. Una svolta clamorosa quanto immediata, e certamente gradita alla Russia Che poi tanto inattesa non era: “Resteremmo intrappolati tra due eserciti che avanzano, una situazione insostenibile”, ha detto il capo del Pentagono Mark Esper per giustificare la ritirata. A trarne vantaggio sono così i veri protagonisti della partita siriana. Perché la spartizione del Paese in zone d’influenza resta, secondo diverse letture, una questione tra Erdogan e Putin, mediatore, non disinteressato, degli interessi di Assad e dell’Iran. Al punto che alcuni analisti ipotizzano che proprio un accordo tra Ankara e Mosca – più della ritirata statunitense – sia stato all’origine dell’operazione turca, sulla scia di un obiettivo comune: liberarsi di Trump, a sua volta contento di liberarsi. Un po’ meno lo sono gli apparati militari e di intelligence statunitensi che tuttavia per ora sembrano messi a tacere.
Secondo Hassan Hassan, esperto del Center for Global Policies, lo scambio oggetto dell’intesa è la possibilità per Erdogan di colpire i curdi e insediare una parziale zona cuscinetto in cui trasferire parte dei rifugiati siriani in cambio del via libera all’affondo finale dei lealisti su Idlib, i cui profughi si riverserebbero nel nuovo “protettorato” turco.
In attesa di capire fino a che punto potrà esserci – se ci sarà – un confronto militare tra le truppe di Erdogan e quelle di Assad, la riduzione del numero (e del peso) dei fattori coinvolti potrebbe essere l’elemento decisivo.
Tra due settimane, è prevista a Ginevra con la mediazione Onu la prima riunione della Costituente siriana, attesa da anni. Tra i suoi 150 membri erano già stati esclusi i rappresentanti del Rojava, che pure copriva circa un terzo del territorio siriano. Quasi un preludio alla marginalizzazione manu militari. Cooptati ora nel rinnovato “abbraccio della patria siriana”, i curdi potrebbero salvarsi, sacrificando però il progetto autonomista.