‘Sono loro le prime a dirsi felici di essere professioniste’
Ritrovatosi spalle al muro, il Lugano deve quindi arrendersi di fronte all’evidenza? «Non mi permetto di ragionare per la squadra – puntualizza Silvia Gada –. Ricordo solo che ogni singola persona che desidera essere presente sul nostro territorio ha la responsabilità diretta di verificare di quale permesso ha bisogno e quale prassi deve seguire per fare la domanda corretta per ottenerlo. Sottolineo che noi non siamo andati a svolgere un’indagine specifica in casa del Lugano. Ci è giunta una domanda di permesso da parte di una persona che probabilmente desiderava solo regolarizzare la propria posizione, La domanda, però, era per il permesso sbagliato. Da lì, sono partiti gli approfondimenti che ci hanno permesso di portare alla luce la situazione del Lugano femminile. Abbiamo quindi fatto la segnalazione del caso a chi di dovere: in primo luogo, alla squadra direttamente, spiegando bene le regole vigenti; in seguito, al Ministero pubblico».
Professionismo senza stipendi
L’equivoco, in casa Lugano, nasce dal fatto che le giocatrici bianconere non hanno proventi derivanti dalla loro attività sportiva. Si considerano, quindi, dilettanti. Tuttavia ai sensi delle direttive della Sem non è così. Ma c’è di più. «Posso anche credere che si considerino dilettanti, ma in internet trovo dichiarazioni di molte delle americane che nelle interviste di cui sono oggetto si dicono tutte quante contente di avere un primo ingaggio come professionista del pallone, la loro passione. Ho trovato sette o otto articoli senza nemmeno forzare troppo la ricerca. Sono loro a esprimersi così, e questo, mi sia consentito, lascia perplessi». Molte di loro hanno già lasciato il Ticino. «Anche questo mi porta a una considerazione: dov’è lo studio? L’anno scolastico a me risulta che sia appena iniziato. Non è possibile che nel breve volgere di una settimana tutto venga buttato all’aria in maniera così repentina. A fine semestre, semmai, posso capire che si possa cambiare istituto scolastico, ma così...».