‘Buona fede sì, ma ora rischiamo’
Il diesse bianconero paventa la possibilità del ritiro della squadra
«Auspico una soluzione in tempi brevi, perché sabato dovremmo già scendere in campo per una nuova partita». Renato Belotti, diesse del Lugano, non nasconde la preoccupazione per una vertenza che potrebbe avere gravi ripercussioni sul club bianconero... «Noi abbiamo agito in assoluta buona fede, ma se la Segreteria di Stato per le migrazioni (Sem) confermasse l’impossibilità per le nostre ragazze di scendere in campo, rischieremmo davvero di chiudere baracca e burattini perché sarebbe economicamente impensabile e sportivamente diseducativo portare a termine le rimanenti 19 giornate di campionato con ragazze di 16 e 17 anni, con la certezza di perdere il nostro posto nell’élite svizzera. Tutto il progetto di crescita del calcio femminile si basava sul mantenimento di un posto nella massima categoria, anche grazie alle giocatrici statunitensi, in modo da dare uno sbocco a tutte le ragazze che stanno crescendo e che a Giubiasco si allenano tre-quattro volte a settimana. Non possiamo permetterci di stipendiare le nostre giocatrici e nel contempo rischiamo di perdere quei pochi sostegni finanziari legati alla visibilità e al riscontro ottenuti».
Come è nato questo pastrocchio? «Eravamo convinti che, in quanto calcio femminile e in quanto legati alla Lega amatori dell’Asf non avessimo bisogno di permessi di lavoro per le nostre giocatrici, le quali, lo ribadisco ancora, non percepiscono compenso alcuno. E nemmeno noi traiamo benefici economici dall’operazione. Essendo dilettanti pure, le ragazze possono andarsene a parametro zero quando desiderano e noi non percepiamo alcuna indennità di formazione».
La Sem dovrebbe valutare meglio, caso per caso, sport per sport, società per società? «Non muovo nessun rimprovero all’azione della Sem, ma credo che quando questo regolamento è stato messo nero su bianco si sia pensato soltanto al calcio declinato al maschile e a tutti quegli sport che davvero presentano realtà legate al professionismo». L’Asf doveva essere la corrente della situazione. Perché non vi ha mai messi sul chi vive? «Non so il perché, ma a noi non è mai stato segnalato il problema. Eppure le ragazze le dovevamo tesserare. E lo facevamo passando dal canale riservato agli atleti dilettanti. Forse a Berna nessuno si è accorto che qualcosa non funzionava».
Due terzi delle ragazze sono già tornate negli States... «Avrebbero dovuto iniziare la scuola ad ottobre a Varese, ma la situazione ha colto pure loro di sorpresa. Se la vertenza non si dovesse risolvere in tempi brevi, pure le cinque ancora qui sono destinate a far rientro a casa loro». Il futuro del Lugano è dunque appeso a un filo.