Sobrietà, scelta eco-sostenibile
Più che uno sciopero dei consumi, bisognerebbe avere abitudini di acquisto più responsabili Le manifestazioni dei giovani per il clima hanno riportato l’attenzione sulle conseguenze ambientali dell’attuale sistema economico globale
‘Più sobrietà e meno consumi’. Era lo slogan utilizzato negli anni 70 agli esordi delle attività dell’Associazione delle consumatrici e dei consumatori della Svizzera italiana (Acsi). Un concetto che già quasi mezzo secolo fa anticipava tanti dei temi che oggi – con gli scioperi dei giovani per il clima – sono tornati giustamente d’attualità. E c’è chi – come Henrik Nordborg, professore alla Hochschule für Tecknik di Rapperswil (San Gallo) – partendo proprio dalla ‘sobrietà’ propone uno sciopero dei consumi per proteggere efficacemente l’ambiente e affrontare veramente i cambiamenti climatici. «Basta auto, voli in aereo e nuovi vestiti», ha affermato nei giorni scorsi Nordborg dalle colonne del quotidiano ‘20 Minuten’ secondo cui «non è possibile conciliare crescita economica e protezione del clima».
In una prospettiva globale, le emissioni di CO2 e la produzione economica sono strettamente collegate. Ogni tonnellata di CO2 aumenta il Prodotto interno lordo globale di circa 2’800 dollari. Tentare di rompere questo legame è quindi – per i fautori della decrescita – un modo efficace per combattere contro i cambiamenti climatici. Da qui la proposta di uno sciopero del consumo. «Oggi lavoriamo per consumare sempre di più: dobbiamo uscire da questa ruota da criceto», afferma il professor Nordborg che insegna energie rinnovabili e tecniche ambientali alla Scuola universitaria professionale della Svizzera orientale. «Si ottiene l’effetto più diretto sul clima quando le persone smettono di prendere l’aereo, non comprano auto nuove, non mangiano carne ed evitano di comprare in continuazione vestiti», sostiene il ricercatore che boccia anche il semplice passaggio alle auto elettriche: la loro produzione richiede infatti parecchia energia.
«Più sobrietà nei consumi, non vuol dire condurre una vita monacale», afferma da parte sua Laura Regazzoni Meli, segretaria dell’Acsi. «Si possono moderare i consumi senza per questo ridurre il benessere di ognuno di noi. Pensiamo semplicemente a quanti gadget elettronici e telefonini abbiamo acquistato nel corso degli anni sull’onda emotiva e che sono poi finiti in un cassetto. Quanta energia è servita per produrla e quante materie prime sono state impiegate quasi inutilmente?», aggiunge Regazzoni Meli.
Anche il capitolo vestiti è ampio e andrebbe affrontato tenendo conto delle conseguenze sul clima. «La moda detta i gusti del momento e con essi si riempiono gli armadi per poi utilizzare quasi sempre gli stessi abiti», fa notare la segretaria dell’Acsi. Al di là del periplo attorno alla Terra che compie un singolo capo di abbigliamento per arrivare nelle nostre case (tra ideazione, produzione e acquisto, ndr), basta attingere alle esperienze personali per rendersi conto dell’impatto ambientale di un semplice paio di jeans. «Ripeto, sobrietà non vuol dire privazione di beni, ma responsabilità nel loro consumo e che ognuno di noi – nel proprio piccolo – può dare il proprio contributo nella lotta ai cambiamenti climatici», precisa Regazzoni Meli ricordando che i soldi risparmiati potrebbero essere utilizzati altrimenti. «Magari acquistando un libro in più o godendosi uno spettacolo teatrale o una visita a un museo nella propria città». Insomma, meno consumi materiali, ma più investimenti in cultura. Per parafrasare una frase dei Vangeli, si potrebbe dire che ‘Non di solo pane vivrà l’uomo...’.
C’è però chi ci riporta alla dura realtà delle cose, come Samuel Rutz di Avenir Suisse sempre dalle colonne di ‘20 Minuten’, ricordandoci che con una diminuzione della crescita economica si arriverebbe a un calo dei salari con conseguente contrazione del gettito fiscale. A risentirne sarebbe soprattutto lo stato sociale.
Questo non vuol dire che non bisogna fare nulla. «Ognuno di noi può impegnarsi a cambiare le proprie abitudini di consumo tenendo conto delle implicazioni sull’ambiente», conclude Regazzoni Meli.