Il soldato Ivan emblema della ritirata Usa dal Medio Oriente
Mosca – “Buongiorno a tutti da Manbij, mi trovo nella base americana dove ancora ieri mattina c’erano loro e stamattina ci siamo già noi”. Non ha resistito, il soldato russo che ieri, contravvenendo agli ordini, ha postato sui social il video della “conquista” della base abbandonata lunedì dai militari statunitensi. Più di tante analisi, l’entusiasmo gradasso e ingenuo del militare russo illustra bene come Mosca stia prendendo il posto degli Usa nel ruolo di potenza egemone in Medio Oriente. L’invio della polizia militare a Manbij, nella Siria sino a pochi giorni fa in mano curda, conferma che Mosca, per evitare lo scontro “inaccettabile” fra Damasco e Ankara, si è risolta a mandare qualche “scarpone sul terreno”, seppure non delle truppe regolari. La posizione del Cremlino è infatti quella di non volersi impegnare su quel fronte, ma certamente non consente ad alcuno di contendergli il primato nell’area. Washington, peraltro, ai russi ha persino spianato la strada pur di levarsi di torno. Come ha confidato un alto funzionario del Pentagono a Newsweek, il personale americano, “essendo stato nella zona più a lungo ha aiutato le forze russe ad orientarsi rapidamente in aree precedentemente non sicure”. Un passaggio di consegne, in sostanza.
Putin ringrazia, ma a modo suo: rilanciando. Il suo inviato per la Siria Alexander Lavrentiev è stato abbastanza esplicito: “Speriamo tutti che le truppe statunitensi lascino la Siria prima o poi”, ha dichiarato alla Tass. “Tuttavia è difficile dire ora quale sarà il risultato finale nonostante l’affermazione del presidente Usa Donald Trump, secondo il quale le truppe dovrebbero essere ritirate entro due settimane”. Lavrentiev ha ricordato che Washington ha rilasciato dichiarazioni simili sul ritiro delle truppe in precedenza, ma che ciò non è accaduto. Intanto a Manbij si sono accomodati loro. Per il bene altrui, naturalmente. Il viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov ha assicurato che “contatti sono in corso” con siriani e turchi per “elaborare soluzioni in linea con il diritto internazionale in conformità con gli interessi legali di tutte le parti coinvolte”.