Le sanzioni arma più temuta
Istanbul – Armi se ne trovano sempre; mercati per le proprie esportazioni non sempre. Per questo non è l’embargo sulla vendita di armamenti ad Ankara a spaventare Recep Tayyip Erdogan. Quando, per dire, gli Stati Uniti gli negarono i missili Patriot, fu lesto ad acquistare gli S400 russi.
Ben altro discorso quello di una eventuale messa in mora degli affari con la Turchia da parte statunitense ed europea. Erdogan fu scottato un anno fa, quando le ritorsioni di Trump per ottenere la liberazione del pastore evangelico Andrew Brunson fecero andare a picco il corso della lira turca, e temere per la solvibilità del Paese.
Per questo, le nuove sanzioni imposte da Washington (dai dazi del 50% sull’acciaio all’interruzione dei negoziati commerciali) spaventano Erdogan ben più di una moratoria sulle armi. L’economia turca stava giusto dando qualche segnale di ripresa dopo un anno terribile: la divisa nazionale deprezzata di un terzo, l’inflazione sopra il 25% e la disoccupazione ai massimi da dieci anni. E potrebbe andare peggio se l’Europa si risolvesse a boicottare le relazioni economiche con Ankara. Un primo segnale negativo è stata la moratoria decisa dalla Volkswagen sull’investimento di un miliardo e 300 milioni di euro per insediare in Turchia una fabbrica capace di produrre 300mila auto all’anno con cinquemila occupati.
Accogliendo poi la metà delle sue esportazioni, pari a 84 miliardi di dollari, l’Unione europea è il primo mercato per Ankara e un’eventuale stretta colpirebbe Erdogan dove fa più male.
C’è poi lo spettro di un boicottaggio del turismo, che fino a dieci giorni fa viaggiava verso un record assoluto di 45-50 milioni di visitatori nel 2019, dopo gli anni del terrorismo e del post-golpe. Senza dimenticare la rimessa in discussione dell’assegnazione a Istanbul della finale di Champions League. Per il business e l’immagine sarebbe un colpo durissimo.