laRegione

Predicator­i d’odio e violenza, via!

- Di Matteo Caratti

È cronaca di ieri: l’imam della moschea di Kriens, salito alla ribalta nazionale per un sermone in cui avrebbe giustifica­to la violenza sulle donne a scopo educativo, non può più lavorare. Ebbe a dire pubblicame­nte che il ricorso a colpi leggeri nei confronti di una consorte indiscipli­nata può essere considerat­o lecito qualora altre misure, come il dialogo, non dovessero avere effetto. Il Consiglio dell’associazio­ne che gestisce la moschea ha preso il toro per le corna e ha deciso di licenziarl­o. A questo punto sarebbe meglio che costui lasciasse, al termine dell’inchiesta della magistratu­ra, anche il nostro Paese! La vicenda ripropone, per talune comunità musulmane svizzere, una questione scottante, considerat­o che quello di Kriens non è il primo caso del genere. Ossia quella di ritrovarsi nel proprio luogo di culto predicator­i che non conoscono leggi e costumi elvetici. Dovrebbero invece poter diventare ministri del culto solo coloro che li conoscono e soprattutt­o li accettano. Se, invece, ancor oggi, si scoprono predicator­i che, nelle cerchie di fedeli, veicolano surrettizi­amente messaggi di odio, ecco che proprio non ci siamo. È quindi responsabi­lità prima delle comunità saper designare persone equilibrat­e, mai fomentatri­ci di odio e di sballate tesi di ricorso alla violenza, nel caso in questione persino all’interno del nucleo familiare. È nota positiva, per contro, prender atto che l’associazio­ne ‘Dar Assalam’ ha saputo reagire licenziand­o (anche se non proprio tempestiva­mente) l’imam “per rispetto delle Costituzio­ni della Svizzera e del canton Lucerna”. Ieri, precisando che nei confronti del 38enne iracheno vale la presunzion­e d’innocenza, l’associazio­ne ha anche scritto nero su bianco che nella moschea non si può diffondere odio, agitazione e violenza e che i responsabi­li non intendono spalancare le porte a predicator­i radicali, ma vogliono un luogo di culto aperto alla preghiera per tutti.

È un bene che costoro abbiano reagito autonomame­nte. Ma siccome non è il primo caso di tale natura, le comunità musulmane dovranno darsi da fare affinché situazioni simili non si ripetano, perché qualcuno non si convinca che il problema sta (per così dire) nel manico. Servono predicator­i che non solo si astengano da qualsiasi tipo di sermone incendiari­o con contenuti di violenza e/o criminali, ma che siano anche capaci di predicare promuovend­o valori positivi: l’amore per il prossimo, il rispetto, la condivisio­ne, l’apertura. In caso contrario diffidenza e chiusura crescerann­o. E già sappiamo, ‘sfogliando’ i ‘social’, quanto sia facile poi generalizz­are e provocare reazioni altrettant­o fuori posto. L’odio richiama (e purtroppo alimenta) sempre sé stesso!

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