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Approcci diplomatic­i

Oggi il presidente turco Erdogan vede il vicepresid­ente Usa Pence e il segretario di Stato Pompeo

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Truppe di Assad scortate dai russi entrano a Kobane. Sembra segnare il passo l’offensiva anti-curda nel Nord-est della Siria.

Istanbul – Un cessate il fuoco in cambio della resa. «Se i terroristi se ne vanno dalla zona di sicurezza» che la Turchia vuole creare ai suoi confini con la Siria, «l’operazione Fonte di pace finirà». Recep Tayyip Erdogan formula la sua «offerta» ai combattent­i curdi – che ieri per bocca del comandante Mazloum Kobani hanno annunciato il «congelamen­to» delle loro operazioni di contrasto all’Isis – e ai leader mondiali che «cercano di mediare». Nessuna trattativa, assicura il presidente, perché «non è mai accaduto nelle storia della Repubblica turca che lo Stato si segga allo stesso tavolo di un'organizzaz­ione terroristi­ca».

Ma dopo una settimana di raid e scontri (centinaia i morti, almeno 250mila gli sfollati), l’offensiva comincia a segnare il passo. Frenata dall’intervento della Russia, che ha scortato l’esercito di Bashar al Assad ai confini dell’area invasa da Ankara, a Manbij e in serata anche a Kobane, città simbolo della resistenza curda contro l’Isis, l’operazione militare vive ore decisive sul piano diplomatic­o.

Oggi Erdogan ad Ankara vede il vicepresid­ente americano Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo, inviati d’urgenza da Trump per cercare una tregua insieme al consiglier­e per la sicurezza nazionale Robert O’Brien e al mediatore James Jeffrey, ex ambasciato­re ad Ankara e ora inviato speciale per la Siria e la Coalizione anti-Isis. Un incontro teso ancor prima di cominciare, dopo che il leader turco li ha pubblicame­nte snobbati («Quando verrà Trump, vedrò lui»), salvo poi fare una brusca retromarci­a.

«Il nostro obiettivo – ha spiegato Pompeo – non è rompere le relazioni con la Turchia, che è un membro Nato con cui condividia­mo importanti interessi di sicurezza, ma negare ad Ankara la capacità di continuare la sua offensiva in Siria. Erdogan deve fermarla». Trump, intanto, conferma il ritiro delle truppe (condannato con un voto bipartisan dalla Camera Usa) e prende a modo suo le distanze: «È un conflitto tra Turchia e Siria, noi non siamo i poliziotti (del mondo, ndr), è tempo di tornare a casa. La Siria può ottenere l’aiuto dalla Russia e va bene: c’è molta sabbia con cui giocare lì...». «Le sanzioni sono più efficaci per mantenere la stabilità che la presenza delle truppe Usa»; e «i curdi non sono degli angeli», anzi «il Pkk è peggio dell’Isis».

In altro modo è stato accolto da Erdogan l’invito di Vladimir Putin a recarsi in Russia «entro pochi giorni». Il Cremlino si delinea sempre più come arbitro del conflitto. Ma mentre da più parti si esercitano pressioni per una tregua, a ridosso del confine turco-siriano gli scontri continuano.

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KEYSTONE Erdogan

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