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Laffranchi­ni: ‘Missione del carcere è risocializ­zare’

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«Quando si tratta di fare cose un po’ fuori dall’ordinario... com’è prevedibil­e i detenuti reagiscono sempre molto volentieri». Stefano Laffranchi­ni, direttore delle strutture carcerarie ticinesi, ha colto con favore l’opportunit­à artistica lanciata da Oppy: «Alla Stampa abbiamo i laboratori di falegnamer­ia, stamperia, targhe, più quelli di servizio come cucina, lavanderia, eccetera, che assieme fanno 125 posti di lavoro per 150 detenuti. Si tratta, in generale, di impegni assunti volentieri, per sei ore (retribuite) al giorno, quali alternativ­e allo starsene sempliceme­nte in cella a guardare la television­e. In questo caso, approfitta­ndo del trasferime­nto di un laboratori­o e di una minor necessità di detenuti, alcune persone sono state destinate al lavoro artistico e l’hanno svolto, devo dire, con grande curiosità e impegno».

In merito all’approccio avuto in carcere al tema specifico – la libertà, la possibilit­à di una redenzione, l’invito rivolto al pubblico di “mettersi nelle scarpe degli altri” – Laffranchi­ni ricorda che «il fatto di lavorare su tematiche di questo genere è stato interessan­te e senz’altro importante. La missione stessa di un carcere, secondo l’articolo 75 del Codice penale, è in primo luogo la risocializ­zazione, la capacità di tornare a vivere esenti da pena. Dal profilo simbolico il cimento era dunque perfettame­nte centrato. Poi è anche vero che per necessità dell’artista, che giustament­e, com’è suo costume, voleva mantenere anche una certa segretezza circa le modalità concrete dell’installazi­one, abbiamo voluto dire il meno possibile. Ma comunque il contesto – c’erano anche delle riprese filmate – era tale da stimolare e indurre delle riflession­i».

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