laRegione

‘Vietato disobbedir­e’

- di Daniela Carugati

Essere dei disobbedie­nti richiede coraggio. Oggi come ieri. Se è vero che le leggi del proprio Paese vanno rispettate – e nessuno lo discute (neppure Lisa Bosia Mirra davanti ai giudici) –; non è meno sacrosanto, a volte, gettare il cuore oltre l’ostacolo del lecito (per dottrina o per abitudine). Il punto è scegliere. È saper dare la precedenza alla dignità umana quando si è messi di fronte al bivio del diritto. Lisa Bosia Mirra lo ha fatto; e ne ha pagato il prezzo (non solo con la giustizia). Perché in talune circostanz­e l’essere umano viene prima delle leggi. Immersa nella scena aperta dei giardini della stazione di Como, nell’estate del 2016, la 46enne non ne ha potuto fare a meno. Non solo ha deciso di spendersi per l’umanità migrante accampata su quel prato sospeso fra sud e nord, un passato difficile da raccontare e un futuro ancora da conquistar­e; ma ha scelto di disobbedir­e in nome di una ventina di cittadini eritrei e siriani (per lo più minori) che versavano in una situazione particolar­mente precaria. Non è stata né la sola né l’unica, certo. Prima di lei nomi illustri lo hanno fatto, come ci ricordava ancora qualche mese fa da queste colonne lo storico Andrea Ghiringhel­li: Paul Grüninger, che ha salvato centinaia di ebrei perseguita­ti dal Nazismo; il pastore Guido Rivoir, che ha teso la mano ai profughi cileni in fuga dal regime di Pinochet. Tre anni dopo i fatti di Como la Corte d’appello e revisione penale nella sua sentenza non le ha dato del tutto torto; anche se si è fermata a metà strada. “È pure certo e comprensib­ile – si legge nel dispositiv­o – che Bosia Mirra (...) si sia convinta, non solo della necessità di togliere i migranti che lei ha definito i più vulnerabil­i da quella situazione di sofferenza, ma anche della necessità di farlo subito e, quindi, che la sola via d’uscita fosse quella che implicava un’infrazione alla Legge federale sugli stranieri e la loro integrazio­ne”. E qui i giudici non hanno fatto sconti. Perché aiutare delle persone sprovviste di documenti ad attraversa­re la frontiera resta un reato; anche per chi lo fa solo per “motivi onorevoli”. ‘Dura lex, sed lex’.

Amnesty Internatio­nal Svizzera, ‘Solidarité Sans Frontières’ e oltre un centinaio di avvocati svizzeri sono decisi a far reintrodur­re la non punibilità per chi assiste degli stranieri in determinat­e situazioni e per ragioni umanitarie, modificand­o l’articolo 116 di quella legge. Ma abbattere questa barriera non sarà facile, neanche alle Camere federali. In Ticino si è già assistito a una levata di scudi. Con la Lega che agita il “grave rischio di un ritorno del caos asilo”. E con gli odiatori dei social che sono tornati alla carica, vomitando su Lisa Bosia Mirra parole e insulti che lei conosce bene. Tant’è che persino la Corte le ha riconosciu­to di aver “già pesantemen­te pagato in termini di sofferenza e perdita di qualità di vita a causa della campagna denigrator­ia subita”. Ma si sa, guai disobbedir­e, anche se ne va della vita di una persona. Ma epiteto libero quando si tratta di prendersel­a con chi non la pensa allo stesso modo. Che poi chi è mosso da ‘motivi onorevoli’ e passatori (o peggio chi fa tratta di esseri umani) finiscano nello stesso calderone, è solo un effetto collateral­e.

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