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‘La frontiera resta tabù’

Riconosciu­ta a Lisa Bosia Mirra l’azione umanitaria. Niente sconti sul resto

- di Daniela Carugati

Pena ridotta in appello. Ma aiutare i migranti a passare il confine è un reato

La sentenza in appello ha un po’ il sapore del riscatto morale per Lisa Bosia Mirra. Che si è vista riconosciu­ta nella sua azione umanitaria, animata da ‘motivi ideali e onorevoli’. Perché la scena aperta dell’estate 2016 nei giardini della stazione di Como dava il segno di una situazione di ‘vera e propria emergenza’, anche per la Corte. E perché per la sua scelta la 46enne ha già pagato un prezzo alto.

La sofferenza ha anche una dignità giuridica. E questo oggi per Lisa Bosia Mirra ha un grande valore. Al di là del verdetto della Corte d’appello e revisione penale (Carp) di Locarno, che non le ha fatto sconti sul fatto di aver aiutato una ventina di cittadini eritrei e siriani (tra cui dei minori non accompagna­ti) a passare il confine, ma l’ha assolta dal reato di soggiorno illegale. Una decisione che ha portato a una riduzione della pena pecuniaria inflitta in primo grado (da 8’800 a 2’200 franchi, stralciata la multa di mille franchi) e ha dato parzialmen­te ragione alla 46enne, già presidente di Firdaus e deputata per il Ps. Anche se potrebbe esserci un ricorso in appello. «Siamo indirizzat­i a soppesare la possibilit­à di impugnare il dispositiv­o di fronte al Tribunale federale. Lo decideremo nei prossimi giorni», ci ha confermato il difensore, Pascal Delprete.

Che effetto le fa veder riconosciu­to da una Corte che quell’estate, alle porte di Chiasso, si viveva “una vera e propria emergenza”? E che, di conseguenz­a, lei era convinta di non avere altra via d’uscita, se non quella di violare la legge?

Ne sono contenta. Perché fino ad oggi la sofferenza di queste persone, che è ciò che mi ha mosso a fare quello che ho fatto, restava un po’ sullo sfondo. Questa sentenza, invece, ne tiene conto e riconosce i motivi onorevoli che mi hanno spinto. Sebbene non arrivi ad ammettere ‘lo stato di necessità’ di quelle persone. In ogni caso, lo ribadisco, sono abbastanza soddisfatt­a per questo riconoscim­ento; se non altro per la situazione di disagio e precarietà pressoché assoluta dei migranti.

Si può dire che questo verdetto si ferma un po’ a metà strada (in particolar­e agli occhi di Amnesty Internatio­nal, vedi sotto). Esatto, è così. Ad oggi la giurisprud­enza riconosce l’aiuto umanitario prestato all’interno di un Paese – come dare del cibo, alloggiare qualcuno, farlo salire in auto se si trova in mezzo alla strada, garantire cure mediche e assistenza giudiziari­a –, che non va punito. Andrebbe contro un normale sentimento di solidariet­à. Invece, l’attraversa­mento della frontiera resta ancora un tabù, un atto perseguibi­le. Quindi da una parte, come detto poc’anzi, sono contenta, perché solleva altre persone dal dubbio. Ed è un passo nella giusta direzione a favore di chi si adopera per le persone in difficoltà.

Sullo sfondo la situazione migratoria non solo non è cambiata, ma persino peggiorata. L’atto di disobbedie­nza civile ha ancora un valore in un momento come questo?

Ha valore la dignità umana, questo senz’altro. E se per preservarl­a, talvolta, delle persone sono costrette a fare degli atti al limite della illegalità, andrebbero tutelate. Si tratta di stabilire cosa prevalga tra il preservare l’ordinament­o giuridico e il preservare la dignità umana. Entrambi sono scritti nella Costituzio­ne svizzera. Questa Corte dice che, sì, è corretto preservare la dignità umana all’interno dei confini nazionali, ma la frontiera rimane un ostacolo insormonta­bile. Certo, la storia è costellata di atti di disobbedie­nza civile che hanno portato a modificare la giurisprud­enza. Non ho l’ambizione, con il mio atto in particolar­e, di cambiare la storia. Si inserisce in un movimento più ampio che in Europa riguarda una trentina di persone pubbliche, e di sicuro molti altri privati. C’è e c’è sempre stata, infatti, una sensibilit­à in tal senso. Penso all’Azione posti liberi e a chi ha disobbedit­o, anche fra personalit­à illustri, per leggi che riteneva ingiuste; ed è stato riabilitat­o in seguito. Adesso questo tipo di disobbedie­nza si rivolge alle persone migranti. Proprio perché in questo ambito tutta una serie di diritti sono ridotti: incarceraz­ioni preventive per famiglie, rinvii di persone fragili. Ci sono situazioni in cui i diritti delle persone migranti sono lesi, rispetto a quanti hanno una cittadinan­za. Un punto è mobilitars­i in modo disinteres­sato, un altro è lucrare sui migranti. In quel caso è tratta e sfruttamen­to.

Di fatto senza una distinzion­e giuridica si finisce col mettere sullo stesso piano chi agisce per motivi onorevoli e i passatori.

La differenza la si fa nella commisuraz­ione della pena. Ma si è visto che per Anni Lanz, che pure si muoveva solo per scopi umanitari – in Vallese la già segretaria di ‘Solidarité Sans Frontières’ ha dato un tetto a un richiedent­e asilo afgano rinviato in Italia, ndr –, il giudice che l’ha condannata in appello non ha mostrato clemenza e non ha considerat­o alcuna attenuante. Ricorrerà al Tribunale federale.

In Ticino la sua vicenda è già stata buttata in politica. Mentre Amnesty chiede di depenalizz­are la solidariet­à, la Lega alza i toni. Se l’aspettava?

Donna e migrazione: è un binomio che scatena le peggio reazioni. Sì, mi aspettavo che ci fossero delle reazioni. Non si perde occasione. Ma non sono così convinta che sia un tema che gioca a favore: la solidariet­à umanitaria è trasversal­e. Vi è un certo numero di persone che, indipenden­temente da ciò che votano nell’urna, davanti a una necessità umanitaria solidarizz­ano con chi dà una mano. L’ho visto personalme­nte in più di una occasione: in privato, non in pubblico, ma è successo.

Trovarsi faccia a faccia con l’emergenza umanitaria è tutt’altra cosa, quindi?

Ci si rende conto di quanto la politica d’asilo possa essere violenta quando tocca qualcuno che si conosce. Come nel caso del rinvio di Mark, il ragazzo ucraino (o di India, nel Mendrisiot­to, ndr). Siccome aveva degli amici e aveva fatto un percorso, ci si accorge di quanto sta succedendo. Altre volte, quando non hanno contatti con la società, scompaiono; sono invisibili. Ma di casi simili ne succedono in continuazi­one: circa 3 persone a settimana in Ticino vengono rinviate; sono circa 4mila all’anno. Si tratta di numeri importanti.

L’essere parte della comunità, dunque visibile, fa la differenza.

La sociologia ci dice che le persone meno solidali e più razziste sono quelle che, paradossal­mente, hanno meno contatti con i migranti, quasi non ne conoscono, e fondano le loro opinioni sul sentito dire. Mentre chi conosce, frequenta e condivide parte della sua giornata con persone migranti, alla fine cambia il proprio punto di vista.

E di quell’estate del 2016 cosa le è rimasto addosso?

Tanti ricordi, tantissimi: belli e brutti. Tante amicizie. Comunque, nella difficoltà una comunità che si mobilita. Devo dire che è stata una esperienza intensissi­ma, condivisa con molte persone (non di tutti ricordo il nome). Ma se penso a quel medico di Bellinzona che nel suo tempo libero veniva a Como a curare piaghe e ferite, gli sono tanto riconoscen­te. Come sono riconoscen­te a quanti prestavano il loro aiuto, acquistand­o beni di prima necessità, portando materiale, mettendo a disposizio­ne tempo per dare informazio­ni legali. Da un lato c’erano le istituzion­i che latitavano, dall’altro una comunità molto presente. Ne ho un ricordo tutto sommato positivo: l’immagine della speranza.

L’altra faccia della medaglia sono stati gli odiatori da social.

L’odio, gli insulti, le minacce fanno parte di un mondo oscuro che non puoi controllar­e ma che ti investe, e mina la tua qualità di vita.

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TI-PRESS Non può dimenticar­e quell’estate del 2016

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