Anziani vessati: terzo processo, altra condanna
Per la Pretura penale i due ex assistenti di cura del Centro anziani di Balerna sono colpevoli Il reato di coazione è stato riconosciuto nella metà degli episodi contestati. Chiuso un altro capitolo nella vicenda dei maltrattamenti agli ospiti.
È successo. Dentro le mura del Centro degli anziani di Balerna tra il 2008 e il 2015 un gruppetto di operatori ha tradito la propria missione e vessato parte degli ospiti della struttura. Adesso ci sono tre sentenze e due giudici a dirlo. È vero, non è ancora stata scritta l’ultima parola lungo il cammino della giustizia. Ma la verità delle aule penali, quella, è stata ristabilita. A dirlo c’è la condanna del maggio del 2017 – a 12 mesi sospesi, già cresciuta in giudicato – dell’ex assistente di cura, la prima a finire alla sbarra, e con le accuse più pesanti. A ribadirlo, nel 2018, vi è il verdetto calato sull’ex infermiere – oggi in attesa della decisione in Appello –, riconosciuto colpevole solo in parte (di coazione), ma di fatti confermati pure agli occhi della Corte. A suffragarlo, da giovedì, sussiste poi altresì il dispositivo pronunciato dalla Pretura penale di Bellinzona. Per il giudice Siro Quadri, infatti, i due ex assistenti di cura comparsi al suo cospetto (come riferito da ‘laRegione’ del 26 ottobre) si sono macchiati di coazione nella metà dei fatti contestati dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni. Il che è costato loro una condanna, attenuata rispetto al decreto d’accusa, ma chiara. Entrambi, ora, avranno dieci giorni di tempo per valutare e decidere se impugnare o meno il verdetto che infligge alla 33enne una pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere da 80 franchi l’una (in primo grado erano 70) e al 41enne 10 aliquote giornaliere da 130 franchi (erano 40), sospese per 2 anni in ambedue i casi.
In quanto accaduto fra il 2013 e il 2014 nella casa anziani, vittime quattro degli ospiti, vi erano, dunque, dei risvolti penali. Il giudice non ha avuto esitazioni nel rispondere a questo quesito. Che i due ex operatori avessero un comportamento professionale sbagliato è «assodato», lo dimostrano, ha rammentato lo stesso Quadri, l’inchiesta amministrativa condotta dal Municipio nel 2015 e sfociata in un ammonimento e nel trasferimento ad altri incarichi per tutti e due gli imputati, difesi in aula lei da Alfio Decristophoris, lui da Verena Fontana. Ma c’era di più. In effetti, ha ammesso ancora il giudice, «percorrere questi atti giudiziari non è stato piacevole». Anche perché, ha commentato, una casa per anziani, luogo importante per il tratto finale nel percorso di vita di una persona, «dovrebbe essere un rifugio, dove poter trovare sicurezza, protezione, vicinanza e soprattutto amore». Ebbene, immergendosi nell’incarto di questa vicenda complessa e dolorosa, la «sensazione» del giudice è stata quella che «spesso gli ospiti non fossero considerati in quanto tali, bensì un peso, un fastidio». E di conseguenza «trattati male». Anche i due ex assistenti di cura hanno maltrattato alcuni dei degenti che erano stati loro affidati. Tanto da violare le regole deontologiche, ma altresì da applicare, e appieno, l’articolo 181 del Codice penale (la coazione). Per finire, tutta una serie di indizi e le testimonianze di due ex colleghi – ritenute «assolutamente credibili» nella linearità del loro racconto, nonché «validi mezzi di prova» – hanno convinto il giudice che i due imputati fossero colpevoli, almeno, come detto, nella metà degli episodi contestati. Quando la 33enne ha costretto con la forza un ospite a restare seduto sulla carrozzina, ha «commesso violenza», ledendo la libertà e la dignità della persona. Quando entrambi hanno minacciato ad alta voce un’altra ospite, al fine di ingiungerle di mangiare, spaventandola con un “mangia se no paghi la multa di 500 franchi”, hanno commesso un reato. Nessun tono ‘scherzoso’ o intento ‘terapeutico’ può essere considerato verosimile. Le imputazioni sono cadute (e i due ex assistenti prosciolti) solo laddove non risultavano comprovati a sufficienza i fatti o dove ci si è limitati a proferire epiteti volgari, non tali, però, da configurare una vera e propria minaccia.
Resiste il fatto, riconosciuto a chiare lettere dal giudice, che chi ha denunciato (fra gli ex colleghi) lo ha fatto per «lanciare un segnale d’allarme», con l’obiettivo di fermare la mano di chi vessava gli ospiti. Anche se ci sono voluti anni dai fatti per vederlo codificato da un Tribunale.