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‘Non sono un terrorista’

L’Imam di Lugano replica alle accuse della Sem e dell’intelligen­ce

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«Ho paura, sto vivendo momenti difficili, la mia salute è precaria e queste accuse non giustifica­te e senza prove, mi stanno provocando un danno enorme». Comincia così lo sfogo di ieri pomeriggio di Radouan Jelassi, Imam di Lugano, accompagna­to dall’avvocato Paolo Bernasconi, in relazione alla sentenza del Tribunale penale federale (vedi a pagina 2) in cui si citano scritti della Segreteria di Stato della migrazione, basati su informazio­ni del Sic, l’intelligen­ce svizzera, che parlano di un suo presunto coinvolgim­ento in attività di terrorismo, motivo per il quale la sua naturalizz­azione è stata sospesa. Lui legge il tutto come una «vendetta per non aver voluto collaborar­e fornendo liste di nomi dei finanziato­ri e dei frequentat­ori della moschea. Hanno pensato che stavo nascondend­o qualcosa». Eppure, «sono stato uno dei fondatori del progetto di ‘Islam e società’ attivo all’università di Friborgo e fra i fondatori del dialogo intercultu­rale e religioso in Ticino. Pace, convivenza pacifica, integrazio­ne e il dialogo sono sempre stati i capisaldi delle mie attività all’interno e all’esterno della comunità musulmana – ha sottolinea­to l’Imam –. Le mie idee non possono essere quelle di una persona integralis­ta o che ha a che fare con il terrorismo. Queste accuse sono false, perdipiù su qualcosa che ho combattuto per tutta la vita». Radouan Jelassi ritiene di avere il diritto di sapere di cosa viene accusato e da chi: «Mi sono autodenunc­iato alla Procura federale» che ha però archiviato l’inchiesta. Sono queste le ragioni dell’Imam di Lugano che chiede di riesaminar­e il caso alla Commission­e di vigilanza sul Servizio delle attività informativ­e della Confederaz­ione (Sic), intervenut­o nella sua procedura di naturalizz­azione formulando un preavviso negativo passato alla Segreteria della migrazione (Sem) che qualche anno fa ha sospeso la sua domanda. «Sono una persona civile, ho sempre condannato il terrorismo. Non sono responsabi­le per chi frequenta o ha frequentat­o la moschea» ha affermato Jelassi, rivelando di aver segnalato alle autorità due casi di radicalizz­azione, uno con tanto di denuncia al Ministero pubblico.

‘Agenti incontrati due volte’

Tra il 2015 e il 2016 Jelassi sostiene di aver incontrato «in due occasioni» agenti del Sic, e di aver subìto «interrogat­ori irregolari sui presunti finanziame­nti alla moschea e su una lista di possibili sospetti di radicalizz­azione (una decina di persone), ma non ero autorizzat­o e non volevo farmi accusatore di persone su cui non sapevo niente». Rispetto al presunto finanziame­nto di 1,5 milioni dal Qatar, dopo i cosiddetti “Qatar Paper”, dichiara di «non averne mai saputo nulla» e che «quei soldi non sono mai arrivati». La moschea «è sempre stata finanziata con piccole donazioni dai suoi frequentat­ori – dice l’Imam –. Non posso accettare l’ingiustizi­a che ho subìto in Tunisia». Quella Tunisia dove lui nacque nel 1969, da una famiglia di intellettu­ali e un padre capo sindacalis­ta, fra i fondatori dello Stato moderno tunisino e professore all’università che il regime politico tentò di uccidere due volte. «Anche io verso il 1985 e negli anni Novanta ho avuto problemi con la polizia politica: all’età di 16 e 17 anni sono stato incarcerat­o, torturato». Dopo la maturità, lascia il Paese, arriva in Francia nel 1992, chiede l’asilo politico e comincia gli studi di giurisprud­enza all’università di Grenoble, poi si forma come teologo in un’università islamica in Francia: «Non pensavo di trovare ingiustizi­e simili in Europa e soprattutt­o in Svizzera, Paese dei diritti umani di cui ho scritto come modello di giustizia, neutralità e di una lunga tradizione di diversità». Una tradizione che però, continua Jelassi, «sta subendo danni con la diffusione del razzismo e della xenofobia e gli stereotipi di alcuni media e di alcuni presunti esperti dell’Islam e di alcuni politici che propagano visioni negative». Jelassi è considerat­o il primo Imam formato in Europa: «Ho continuato la mia formazione in Svizzera per diventare un mediatore intercultu­rale, poi ho conseguito un Master in comunicazi­one intercultu­rale all’Usi e sto finendo un dottorato in Scienze della comunicazi­one sul dialogo nel Corano». Intanto, ha promosso progetti d’integrazio­ne e di dialogo intercultu­rale e interrelig­ioso con enti e associazio­ni. «Ho fatto parte di gruppi di lavoro e commission­i a livello cantonale, come quella che ha sperimenta­to l’insegnamen­to di storia delle religioni per il Decs», racconta.

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La richiesta di naturalizz­azione sospesa, Jelassi chiede il riesame del suo caso
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TI-PRESS L’avvocato Paolo Bernasconi e Radouan Jelassi durante l’incontro di ieri pomeriggio con i media

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