laRegione

Diritto/dovere di informare, avvocati e Mon Repos permettend­o

- Di Andrea Manna

La Costituzio­ne federale all’articolo 16 (primo capoverso) afferma che “La libertà d’opinione e d’informazio­ne è garantita”. E all’articolo 30, in tema di procedura giudiziari­a, stabilisce (terzo capoverso) che (...)

(…) “L’udienza e la pronuncia della sentenza sono pubbliche. La legge può prevedere eccezioni”. Bene. Il problema è che non di rado i principi costituzio­nali rimangono tali, stentano cioè a essere applicati. Non entriamo nel merito della domanda di naturalizz­azione dell’Imam di Lugano e dunque della vertenza che lo oppone alla Segreteria di Stato della migrazione. Ci preme invece evidenziar­e – criticando­la – la sua ostinazion­e nell’impedire di fatto la divulgazio­ne della sentenza, motivata, con cui il Tpf, il Tribunale penale federale, gli ha respinto un reclamo. Tramite il proprio legale, si è rivolto al Tribunale federale di Losanna per sollecitar­e, formalment­e, “un’anonimizza­zione accresciut­a” di quell’importante decisione. Stupisce che il legale dell’Imam, l’avvocato Paolo Bernasconi, solitament­e, e giustament­e, attento ai diritti e alle libertà fondamenta­li, abbia dimenticat­o, così sembra in questo caso, che tra le seconde c’è la libertà di stampa. E stupisce che il Tf, il Tribunale federale, abbia decretato la sospension­e della pubblicazi­one di quella sentenza – con tanto di comminator­ia dell’articolo 292 del Codice penale, l’articolo che sanziona chi non rispetta un ordine dell’autorità, per i giornalist­i accreditat­i al Tpf – e ciò in attesa di deliberare sulla richiesta dell’Imam di una “maggiore anonimizza­zione”. È peraltro lecito domandarsi se un Imam non sia un personaggi­o pubblico: se tale, non si giustifich­erebbero le tutele previste dalla legge per chi personaggi­o pubblico non è. Sia come sia, la sentenza del Tribunale penale federale è stata divulgata comunque: non da media svizzeri, bensì da ‘Libero’, quotidiano con sede in Italia, per il quale la comminator­ia del 292 è quindi perfettame­nte inutile.

Tutto questo è l’ulteriore conferma di quanto sia difficile in Svizzera fare il giornalist­a soprattutt­o di giudiziari­a, fra il garantismo esasperato della nostra procedura penale e la non rara mancata attuazione dei principi costituzio­nali citati all’inizio. Succede allora che i media ticinesi, e di riflesso l’opinione pubblica, ancora ignorino – non avendo avuto finora accesso alla sentenza di primo grado, neppure alla sua versione anonimizza­ta – le consideraz­ioni del giudice che ha condannato per coazione sessuale un noto ex funzionari­o del Dipartimen­to sanità e socialità su eventuali responsabi­lità in seno al Dss all’epoca dei fatti. Succede allora che di episodi di nera accaduti in Ticino si conoscano protagonis­ti, significat­ivi dettagli e sviluppi investigat­ivi grazie alle rivelazion­i di media/siti stranieri. Poi c’è il variegato mondo dei social, dove la comunicazi­one è però fuori da ogni controllo. A spese della veridicità.

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