Propaganda e combattenti, così il radicalismo islamico in Lombardia
Nello scenario italiano del fondamentalismo islamico il ruolo di Milano e delle province lombarde – Lecco, Como e Varese in primis – è primario, assolutamente centrale. Ne è convinto Michele Groppi, ricercatore del King’s College di Londra e autore di un breve saggio sul jihadismo in Lombardia pubblicato da Limes, rivista di geopolitica del gruppo Espresso e diretta da Lucio Caracciolo, giornalista, politologo, economista e accademico italiano. Una prima spiegazione va ricercata nel fatto che la Lombardia è la regione italiana con il più alto numero di mussulmani, quasi mezzo milione che, secondo i dati Istat, rappresentano il 26,5 per cento degli islamici residenti in Italia. Delle dodici province lombarde, dieci contano oltre 10mila individui di religione islamica. Tra queste troviamo Como (oltre 22mila), Lecco (poco più di 18mila) e Varese (21mila). L’aspetto demografico, per Michele Groppi, la cui ricerca, molto dettagliata, è iniziata nel 2011 ed è stata continuamente aggiornata, rappresenta la “vera sfida” al fondamentalismo e al radicalismo islamico in Lombardia. “Da anni questa zona (la Lombardia, ndr) ha offerto al jihad globale il più elevato numero di combattenti italiani diretti verso i vari teatri di guerra”, sta scritto nella ricerca. E ciò, secondo Groppi, non rappresenta una novità: “Già in occasione del conflitto nei Balcani degli anni 90 guerriglieri erano partiti da Milano sotto la guida dell’allora Imam di viale Jenner, Anwar Shaaban, comandante del battaglione di mujahidin stranieri impegnati a difendere i mussulmani bosniaci. Il capoluogo lombardo e realtà come Como hanno poi assunto un ruolo cruciale con la guerra in Iraq del 2003. Dei 12 principali reclutatori noti alle autorità italiane, 7 provenivano dalla Lombardia (fra questi l’Imam della moschea di via Domenico Pino di Como, ndr) e almeno una dozzina dei quasi 30 jihadisti finiti in Iran abitavano in Lombardia”. È sui rapporti tra il vecchio continente e il Califfato che si concentra la ricerca. Soprattutto sui quasi 60 individui partiti dall’Italia “per schierarsi al fianco dei ribelli anti-Asad, almeno una dozzina sono partiti da Milano e dalle zone limitrofe. Inoltre, una dozzina di italiani nei convertiti sono partiti per la Siria, per divenire foreign fighters”. Quattro di loro, di cui non si hanno più notizie, sono partiti da Como e Cantù. Ma come si spiega l’islam estremistico lombardo? Per Groppi lo snodo sono le moschee in cui è prevalso una predicazione e una retorica radicale: “Le varie forme di attività jihadista sono state spesso sostenute e avallate da un clima ideologico favorevole, considerato che le comunità lombarde hanno contato il maggior numero di imam coinvolti in attività terroristiche”.