‘Convenzione di Ginevra’ sul digitale
‘Per molti anni, quando ero a Microsoft, sono stato orgoglioso del pochissimo tempo che dedicavo ai rapporti col governo. Poi ho imparato a mie spese che quella non era una scelta saggia’.
Lo scrive Bill Gates nella prefazione di Tools and Weapons, un saggio pubblicato di recente da Brad Smith nel quale il presidente di Microsoft (supervisore degli affari legali ed etici mentre tutti i poteri operativi sono nelle mani del Ceo Satya Nadella) analizza opportunità e rischi delle tecnologie digitali, il loro impatto sui sistemi politici democratici e chiede alla politica di introdurre un sistema di regole anche in questo settore: “Nessuna tecnologia si è mai sviluppata in modo così totalmente privo di norme come sta avvenendo per quelle digitali” scrive Smith che è diventato la coscienza di Microsoft.
Adult in the room
Un gruppo, quello di Seattle, che oggi, ritrovata la sua identità anche sul piano imprenditoriale con lo sviluppo di nuove aree di business a cominciare dalle piattaforme cloud, torna non solo ad essere leader tra i giganti di big tech, ma ha acquisito anche il ruolo di adult in the room, per dirla con una tipica espressione americana: cioè il gruppo che si muove in modo più adulto e responsabile tra i giganti della tecnologia della West Coast.
Ancora qualche anno fa Microsfot sembrava una società che aveva perso la rotta, aggrappata alle rendite dei suoi sistemi Windows e Office, mentre il tentativo di diventare protagonista nel mondo degli smartphone era fallito. Nadella, arrivato cinque anni e mezzo fa alla guida del gruppo, ha cambiato rotta puntando sullo sviluppo di nuove piattaforme di servizi, a cominciare da quella cloud, Azure: ormai rappresenta, da sola, un quarto del fatturato del gruppo, è seconda per diffusione sul mercato solo ad AWS di Amazon e sta crescendo a ritmi superiori al 60 per cento l’anno.
‘Nessuna tecnologia si è mai sviluppata in modo così totalmente privo di norme come sta avvenendo per quelle digitali’.
I risultati sul piano economico sono impressionanti: Microsoft, che aveva perso 17 anni fa la corona di società più capitalizzata del mercato, l’ha riconquistata a tratti questa estate quando ha superato i mille miliardi di capitalizzazione e ora è impegnata in un testa a testa con Apple (mercoledì scorso valeva 1’100 miliardi, una manciata di dollari in più rispetto alla società fondata da Steve Jobs) mentre Amazon e Google sono ormai distaccate (mercoledì valevano tutte e due circa 870 miliardi di dollari, mentre Facebook era a quota 533).
Risultati economici e svolta etica
Ma, oltre a quella imprenditoriale, l’amministratore delegato venuto da Hyderabad, in India, ha imposto al gruppo una svolta etica riassumibile in una battuta: quando Microsoft ha superato la soglia dei mille miliardi di valore Nadella ha risposto, secco, a un giornalista che gli chiedeva un commento enfatico “sarebbe disgustoso se qualcuno volesse celebrare la nostra capitalizzazione di mercato”. Una lezione di leadership (il commento è del sito Business Insider) da parte di un manager che fin dall’inizio ha trovato in Brad Smith il partner giusto per dare a Microsoft una cultura più attenta alle responsabilità sociali di un’azienda di queste dimensioni e impegnata su frontiere tecnologiche delicate.
I governi sono più forti delle corporation
Smith era arrivato in Microsoft come general counsel nel 2002, l’anno dopo aver patteggiato con l’Amministrazione Bush una condanna che rischiava di portare allo smembramento della società, dopo aver perso una casa col Ministero della giustizia e con 20 Stati dell’Unione. Brad lavorò alla ricostruzione di un rapporto di fiducia con l’autorità politica, supportato anche da Gates che, come spiega oggi, “aveva imparato che la vita richiede compromessi e che i governi sono più forti delle corporation”. Nel 2014, con l’arrivo di Nadella, il cambio di passo e oggi Brad Smith può permettersi addirittura il ruolo di evangelizzatore che col suo libro dà consigli anche agli scalpitanti concorrenti di Microsoft: “La nostra esperienza, ma anche quelle di IBM e AT&T, mostrano che le controversie col governo in materia di antitrust possono durare decenni”. Meglio evitarle o tirarsene fuori prima possibile: “La tendenza dei giovani manager della tecnologia è quella di dare battaglia. Pensano che, se avessero accettato compromessi, non sarebbero arrivati dove sono”. Un atteggiamento comprensibile ma sbagliato.
Apertura al dialogo con le istituzioni
Nella recente assegnazione a Microsoft del contratto del Pentagono da 10 miliardi di dollari per lo sviluppo in cloud del nuovo sistema di comunicazioni e archiviazione delle forze armate Usa, sicuramente ha pesato l’ostilità del presidente Trump nei confronti di Amazon. E la società di Jeff Bezos potrebbe anche fare ricorso sostenendo di aver subito una discriminazione. Ma nella scelta ha sicuramente pesato anche l’apertura di Microsoft al dialogo con le istituzioni. Nel suo libro Brad Smith va anche oltre il rapporto con l’Amministrazione di Washington. Secondo lui le aziende, comprensibilmente preoccupate da vincoli politici che potrebbero frenare la loro capacità di innovare, devono però accettare di lavorare insieme ai governi “per proteggere qualcosa che, francamente, è più importante della tecnologia: la democrazia” che Smith vede in pericolo perché, come dice il titolo del suo libro, il digitale può essere usato come uno strumento utile (tool) o come un’arma micidiale (weapon). Per questo propone una sorta di Convenzione di Ginevra digitale: regole per proteggere gli utenti dai poteri distruttivi degli arsenali digitali così come nel 1949 i governi si impegnarono a proteggere i civili in tempo di guerra. Non sempre i risultati sono stati confortanti, ma è stata fissata una regola e si sa chi la viola, mentre nella tecnologia, almeno negli Usa, oggi (quasi) tutto è permesso. Anche per questo il president della società che nel 2004 fu pesantemente multata dal commissario europeo Mario Monti per abuso di posizione dominante, oggi è un grande sostenitore del Gdpr, le regole per la protezione dei dati personali che la Ue ha introdotto nel 2018 e che Smith definisce “la Magna Charta dei dati, la migliore opportunità che abbiamo per difendere la nostra privacy”.