laRegione

È solo buonsenso

- Di Marco Chiesa, candidato al Consiglio degli Stati

Uno degli aspetti che più mi sta a cuore in questa campagna elettorale, è quello di riportare al centro del dibattito politico le preoccupaz­ioni del ceto medio. Mi riferisco a quella maggioranz­a silenziosa di ticinesi che paga fino all’ultimo centesimo d’imposte, senza ricevere in cambio un solo franco di benefici. Una categoria che i partiti tradiziona­li ormai da troppo tempo ignorano, utilizzand­o questi cittadini unicamente come bancomat per finanziare le loro politiche, siano esse ambientali, sociali o economiche.

Loro in Parlamento cambiano il mondo, tanto la fattura la paga sempre il ceto medio! Il problema è che oggi questi concittadi­ni che mandano avanti il Paese svegliando­si ogni mattina per andare a lavorare, non ce la fanno più. Il motore si è ingrippato e rischia seriamente di fondersi. L’aumento del costo della vita, la precarizza­zione del mercato del lavoro a causa degli sciagurati accordi con Bruxelles, l’esplosione di riflesso della spesa sociale dovuta alla creazione sistematic­a di eurodisocc­upati e di euroassist­iti, l’invenzione perpetua di tasse e balzelli e nuova burocrazia, ha stritolato il ceto medio in una morsa infernale tra Stato ed economia. Da un lato lavoratori poveri o sottoccupa­ti, dall’altra piccole e medie imprese che lottano quotidiana­mente per la sopravvive­nza, vittime privilegia­te di una feroce concorrenz­a sleale che a Berna hanno elevato a legge. Ma in politica non basta l’analisi e la denuncia di un problema, occorre anche avanzare delle soluzioni. A mio avviso il primo obbiettivo urgente da raggiunger­e è quello di lasciare qualche soldo in più nelle tasche dei ticinesi, secondo un sacrosanto principio liberale. Per raggiunger­e tale scopo ho formulato qualche proposta concreta. L’abolizione del valore locativo, ad esempio, permettere­bbe di porre fine all’ingiustizi­a di tassare due volte i risparmi che molti ticinesi hanno faticosame­nte messo da parte per acquistare un’abitazione e pagare la propria ipoteca. La deduzione totale dei primi di cassa malati dalle imposte che consentire­bbe di dare un po’ di respiro a decine di migliaia di ticinesi che non benefician­o di alcun sussidio. Il “no” a nuove ecotasse, che peseranno per migliaia di franchi all’anno su famiglie e piccole imprese, evitando in tal modo di stringere ulteriorme­nte la morsa al collo di chi non naviga nell’oro. Oppure la riduzione della pressione fiscale per quelle aziende che reinveston­o una parte dei loro utili nell’attività. Ciò affinché si possa garantire sviluppo, innovazion­e e occupazion­e. Per quanto attiene al mondo del lavoro, per concludere, occorre finalmente smetterla con la politica dei cerotti e risolvere il problema alla radice: no alla libera circolazio­ne, sì alla preferenza indigena per i lavoratori residenti. Il sistema che la Svizzera conosceva fino al 2008. Quelle appena esposte non sono proposte rivoluzion­arie, né di destra né di sinistra, ma di semplice buonsenso. Proposte di un padre di famiglia del ceto medio, preoccupat­o per il futuro dei suoi figli ma con la ferrea volontà di non arrendersi al declino della Svizzera e del Ticino.

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