Lewis s’avvicina al mito
Il verdetto cade ad Austin, dove Hamilton è secondo dietro a Bottas, ma centra il titolo numero 6. Solo uno in meno di Schumacher.
Com’era prevedibile, il Texas ha emesso l’atteso verdetto: Hamilton è campione del mondo per la sesta volta, la terza consecutiva. Una supremazia frutto di molto impegno, un talento straordinario e una monoposto che è semplicemente la migliore di tutti i tempi. Mentre Bottas conferma di essere un ottimo pilota, e infatti ha vinto il Gp degli Stati Uniti in modo chiaro e preciso, ma in realtà non è veloce quanto il caraibico. Sei titoli tutti meritati, quelli del britannico – anche se, pensando ai record, bisogna precisare che oggi è molto più semplice avvicinare i primati che hanno fatto la storia della Formula Uno, snaturati come sono da punteggi molto generosi e un numero decisamente superiore di gare – e possiamo attenderci per il 2020 una probabile replica dello stesso copione.
Ieri, però, le stelle sono state pure amiche del campione: infatti, a tre giri dal termine, quando tutti stavamo per pregustare la resa dei conti per il secondo posto tra Verstappen e il numero 44, ecco che Magnussen rimane vittima dell’ennesima – sorprendente – esplosione del freno anteriore destro, con conseguente bandiera gialla che lascia intatta la seconda posizione di Hamilton e l’ennesima doppietta della Mercedes-Benz.
Negli States ancora una volta molto bravo Verstappen, indomito e fortissimo per tutto il weekend con una Red Bull (motorizzata Renault, va ricordato) che come ogni anno chiude in grande crescita e maturazione. Albon è stato autore di una gara semplicemente eccezionale e risalito dalle retrovie ha chiuso quinto. Usiamo però questa notevole prestazione anche per comprendere quali siano i valori in campo e quanto una monoposto affidabile – e a suo agio in terra americana come la Red Bull – ora possa permettere di arrivare a risultati anche sorprendenti. Male ad Austin, invece, le Ferrari. La consolazione del giro veloce di Leclerc è davvero troppo poco per un team che nel corso della stagione ha certamente ritrovato migliore competitività a scapito palese dell’affidabilità. Per essere chiari: sul giro secco la Rossa è in questo momento probabilmente la più veloce (anche se in Red Bull, ed Helmut Marko per primo, sono convinti che sia fuori dai regolamenti, senza peraltro averlo mai provato), ma puntualmente problemi di vario tipo ne impediscono risultati costante e soprattutto premianti. Che si ritiri una Williams ci sta anche, ma che a Vettel immediatamente un disturbo all’ammortizzatore posteriore destro impedisca di proteggere la seconda posizione precipitando fino alla settima, per poi subire il collasso strutturale della bacchetta in carbonio, segno evidente di una grande fragilità. Per Binotto, in ottica 2020, è senza dubbio il tema da affrontare seriamente. Leclerc non è mai stato in gara, è apparso opaco, ha tribolato molto nelle libere, e solo nelle ultime battute ha almeno cercato il punto aggiuntivo per il recordman del tracciato. Malissimo invece, ancora una volta, l’Alfa Romeo made in Hinwil: Raikkonen nella prima fase di gara dopo una bella partenza con un guadagno di ben sette posizioni, sinonimo di nono posto, poi ha remato nelle retrovie finendo undicesimo, ma solo dopo la retrocessione in dodicesima posizione di Kvyat per un contatto con Perez all’ultimo giro. Il finlandese poi sembra stanco di dover combattere ad armi impari con gli avversari, e quella verve che aveva ritrovato ad inizio stagione lascia sempre più spesso spazio al conosciuto eloquio monosillabico. Vasseur ha detto di recente che se Giovinazzi facesse una bella prestazione vorrebbe confermarlo in anticipo per la prossima stagione, tenendosi buona Fca. Mancano due gare affinché ciò possa avvenire, ma anche ieri si è visto in pista un pilota non sufficientemente assetato e cattivo. Meglio uscire lottando, che semplicemente vivacchiare nelle retrovie. Tutto di questo Mondiale è stato detto, e pur se restano due gare per vedere qualche sorpasso e forse sorpresa, rimane la certezza che Hamilton possa diventare il pilota di F1 più vincente di sempre. Lo merita certamente, pur non avendo mai preso sino in fondo seriamente il ruolo di immagine pubblica trasversale, preferendo piacere a un target preciso. Ma sono scelte, e chi vince ha sempre ragione.