‘Scelte influenzate dal mercato del lavoro’
Dall’indagine dell’Ufficio federale di statistica emerge in particolare «un divario tra il desiderio delle donne e delle famiglie di avere figli e la realtà (ovvero il mercato del lavoro) con il quale si scontrano». Ad affermarlo è Angelica Lepori
Sergi, ricercatrice presso il Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi). Il fatto di non avere figli «è una scelta dettata dalle condizioni esterne considerate negative», precisa a ‘la Regione’.
A rimanere spesso senza figli sono le donne laureate. Come se lo spiega? Non si deve pensare che le donne laureate non hanno figli perché non ne vogliono fare (anche se sarebbe legittimo non volerne avere). Non ne fanno perché le condizioni del mercato del lavoro e dei servizi per conciliare lavoro e famiglia sono ritenuti insufficienti. Attualmente si nota come sia difficile per le donne con figli accedere a impieghi di responsabilità. E questo perché molti pensano che dopo essere diventate mamme non sono più affidabili, hanno la testa altrove o non hanno tempo per dedicarsi al lavoro. Inoltre, è recentemente emerso che, soprattutto in Ticino, è in aumento il numero di donne in maternità che vengono licenziate. E questo perché i datori di lavoro non sembrano più disposti ad assumersi questo ‘costo’.
Cosa bisogna dunque migliorare?
In primo luogo si potrebbe pensare di condividere gli impieghi di responsabilità tra due persone (ci sono già progetti che vanno in questa direzione): ovvero dare la possibilità di accedere a questi posti anche con un tempo di lavoro ridotto (il cosiddetto ‘job sharing’). Ciò potrebbe permettere a più donne di accedere alle cariche di responsabilità. D’altra parte bisogna rafforzare le strutture di sostegno e di presa a carico, come gli asili nido e le strutture parascolastiche. Dai dati dell’Uft emerge che sono insufficienti soprattutto in Ticino. Questo fa sì che a occuparsi dei figli sono molto spesso le nonne. Nonne che magari hanno lavorato per tutta la vita e che ora si occupano dei nipoti per permettere alle loro figlie di andare a lavorare. Bisognerebbe poi introdurre un congedo parentale, così da ‘obbligare’ anche gli uomini ad andare in congedo paternità. Ciò permetterebbe di mettere sullo stesso piano uomo e donna: non sarebbe più maggiormente ‘costoso’ assumere una donna (che forse andrà in congedo maternità), visto che anche gli uomini sarebbero obbligati a stare a casa per curare i neonati. Tra l’altro, penso che anche molti uomini vorrebbero beneficiare di tale congedo.
Affidare i figli ai nonni non è anche una questione culturale?
In parte è vero. Ma oggi penso che il problema sia principalmente un carenza di posti in asili nido e strutture di custodia parascolastici. Per gli asili nido vi è anche la problematica legata ai costi elevati che limitano la possibilità di accedere a questi servizi.
I lavori domestici continuano a essere svolti principalmente dalle donne. Come legge questo dato?
Le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia possono portare le donne a rinunciare completamente o in parte all’impiego. La conseguenza è che sono poi loro a svolgere i lavori domestici. È chiaro che se in una coppia il salario della donna è inferiore a quello dell’uomo, al momento della nascita di un figlio, i genitori tenderanno a rinunciare almeno in parte allo stipendio più basso. Inoltre, per gli uomini è più difficile lavorare a tempo parziale, perché se lo chiedono sono spesso visti come persone poco motivate. E anche questo spinge le donne a lavorare a tempo parziale. Insomma, è l’attuale mercato del lavoro che induce le persone a compiere determinate scelte.