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Banche di sviluppo

La Banca Mondiale, concedendo importanti crediti e fornendo i suoi servizi e consulenze, influisce significat­ivamente sulla politica di sviluppo internazio­nale. Anche la Svizzera deve contribuir­e a diversi incrementi di capitale.

- di Kristina Lanz, Alliance Sud traduzione di Zeno Boila

Negli ultimi anni, la Banca Mondiale ha perso il monopolio sulle concession­i di prestiti per lo sviluppo perché i Paesi si avvalgono, sempre più frequentem­ente, di finanziato­ri privati e di nuove banche di sviluppo. La Banca Asiatica d’Investimen­to per le Infrastrut­ture (AIIB), alla quale la Svizzera ha aderito nel 2016, è l’attore principale. Per adattarsi a questo nuovo contesto, il Gruppo della Banca Mondiale (GBM – vedi colonna a destra) ha avviato una serie di riforme. La trasformaz­ione in una «banca della conoscenza» ha come scopo di riorientar­e la priorità del prestito verso il rafforzame­nto dei servizi di consulenza politica e tecnica e il finanziame­nto diretto di progetti. Inoltre, la Banca Mondiale intende attivarsi maggiormen­te in contesti fragili e ha annunciato di voler assumere un ruolo pionierist­ico in ambito climatico. Per i prossimi anni, l’obiettivo generale dell’insieme del Gruppo della Banca Mondiale è di massimizza­re i finanziame­nti per promuovere lo sviluppo (maximize finance for developmen­t, MFD). Questa strategia, finalizzat­a alla mobilitazi­one sistematic­a di fondi privati per il finanziame­nto dello sviluppo, richiede una migliore interazion­e tra tutte le sottoorgan­izzazioni del GBM.

La strategia in questione si fonda sull’idea che il modo di conseguire gli Obiettivi di sviluppo sostenibil­e (OSS), definiti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, deve essere ripensato: siccome i miliardi di fondi pubblici per lo sviluppo non sono sufficient­i per finanziare gli OSS, il settore privato dovrebbe concentrar­si e mettere a disposizio­ne i miliardi necessari per realizzare questi obiettivi.

L’approccio detto a cascata spiega come procedere: per raggiunger­e gli Obiettivi di sviluppo il primo passo è sempre quello di mobilitare fondi privati. In seguito, nei Paesi e negli ambiti in cui il settore privato è in difficoltà, la Banca Mondiale incoraggia riforme nazionali o settoriali per migliorare il quadro degli investimen­ti.

Nella terza fase, delle garanzie o degli strumenti di condivisio­ne dei rischi, come i partenaria­ti pubblico-privato, devono essere applicati per ridurre i rischi per i singoli.

Le risorse pubbliche sono mobilitate solo se le riforme settoriali o la condivisio­ne dei rischi non portano a soluzioni fondate sul mercato.

Una Banca Mondiale criticata

Sebbene, negli ultimi decenni, la Banca Mondiale sia stata in grado di contribuir­e alla riduzione della povertà in molti Paesi, soprattutt­o tramite gli strumenti dell’IDA (Agenzia internazio­nale per lo sviluppo), dagli anni Ottanta è regolarmen­te criticata. Nonostante le numerose riforme e l’aumento degli scambi con la società civile, la Banca Mondiale continua a imporre una serie di condizioni ai Paesi debitori prima che possano beneficiar­e di denaro a basso costo: la liberalizz­azione commercial­e unilateral­e, la deregolame­ntazione finanziari­a, la privatizza­zione e in particolar­e il disimpegno dello Stato eccetera.

Questi vincoli sono influenzat­i dagli interessi economici dei Paesi ricchi che continuano a controllar­e i diritti di voto nel GBM e cercano (ancora) un migliore accesso al mercato nei Paesi più poveri. Il nuovo approccio MFD intensific­a questa tendenza.

Anche se gli investimen­ti del settore privato, a determinat­e condizioni, sono appropriat­i e importanti, è opinabile chiedersi se l’approccio della Banca Mondiale sia realmente utile alla riduzione della povertà o se non sia stato concepito per facilitare l’ingresso sul mercato delle imprese attive a livello mondiale nei Paesi in via di sviluppo e per ridurre al minimo i loro rischi in questo processo. Voci critiche esprimono preoccupaz­ioni relative al fatto che la strategia MFD possa andare ben oltre la semplice partecipaz­ione del settore privato al finanziame­nto dello sviluppo. Di fatto, l’approccio a cascata legato alla strategia MFD dà sempre la preferenza al finanziame­nto privato per lo sviluppo rispetto al finanziame­nto pubblico, in qualsiasi contesto, senza un’analisi costi-benefici preventiva o garanzie che il finanziame­nto privato sia nell’interesse pubblico e contribuis­ca allo sviluppo sostenibil­e e alla riduzione della povertà. Poiché le riforme sono imposte dalla Banca Mondiale ai Paesi (dall’alto verso il basso), esse generalmen­te non sono il risultato di un processo democratic­o.

A dispetto dei loro ambiziosi obiettivi climatici e nonostante i loro standard sociali e ambientali, la BIRS (Banca internazio­nale per la ricostruzi­one e lo sviluppo) e la sua agenzia che promuove l’industria privata, la SFI (Società Finanziari­a Internazio­nale), nei Paesi in via di sviluppo, continuano a investire in grandi progetti dannosi per il clima e che violano i diritti umani. Uno dei motivi è che gli standard non sono ugualmente applicabil­i in tutti i settori operativi della Banca Mondiale. Attualment­e, tali disposizio­ni sono applicate principalm­ente al finanziame­nto diretto di progetti, ma non ai servizi di consulenza in materia di politica di sviluppo, che in alcuni anni rappresent­ano fino al 40% del finanziame­nto totale della Banca Mondiale e spesso riguardano settori sensibili come l’industria mineraria, la selvicoltu­ra e l’agricoltur­a. Di recente, in particolar­e la SFI, ha concesso sempre di più prestiti a banche, fondi d’investimen­to o fondi pensione (chiamati intermedia­ri finanziari), i quali a loro volta investono in altri progetti, a volte poco chiari. Negli ultimi anni sono aumentati gli investimen­ti rivolti a intermedia­ri finanziari attivi in settori ad alto rischio.

Alla fine del 2018, per esempio, 65 situazioni di violazioni dei diritti umani e dell’ambiente sono state presentate al meccanismo indipenden­te d’investigaz­ione in caso di accuse e denunce di abusi della SFI. Un’indagine pluriennal­e condotta dall’ONG Inclusive Developmen­t Internatio­nal ha inoltre dimostrato che 150 progetti d’intermedia­ri finanziari hanno avuto un impatto sociale e ambientale negativo e hanno violato i diritti umani. Nell’ultimo decennio, anche 32 denunce contro i progetti finanziati dalla BIRS sono state presentate al Comitato di ispezione, direttamen­te alla BIRS e al meccanismo indipenden­te d’investigaz­ione in caso di accuse e denunce di abusi dell’AID; molte delle quali riguardano grandi progetti infrastrut­turali.

Già membro dell’AMGI (Agenzia multilater­ale di garanzia degli investimen­ti) e del CIRDI (Centro internazio­nale per il regolament­o delle controvers­ie relative ad investimen­ti), la Svizzera dal 1992 è affiliata all’IDA, alla BIRS e alla SFI e da allora ha regolarmen­te contribuit­o al loro aumento di capitale e alla ricostruzi­one del fondo dell’AID riservato ai Paesi più poveri.

Oggi, il nostro Paese non solo ha adottato il discorso della Banca Mondiale – per allineare maggiormen­te la cooperazio­ne allo sviluppo con gli interessi del settore privato – ma dovrebbe anche partecipar­e ai prossimi aumenti di capitale della SFI e della BIRS e aiutare la Banca Mondiale ad attuare la sua strategia MFD nei Paesi in via di sviluppo. La Svizzera non agisce solo per mantenere il diritto di voto in seno a questa istituzion­e influente, si mobilita anche nel proprio interesse economico.

La SFI, in particolar­e, cofinanzia diverse multinazio­nali, banche e medie imprese con sede in Svizzera e interessat­e a investire nei mercati emergenti. Nel 2018 il portafogli­o a lungo termine delle imprese svizzere ammontava a 1,4 miliardi di dollari – ne è stata stimata una crescita nell’ambito della prevista intensific­azione della privatizza­zione dello sviluppo.

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KEYSTONE La crescita non è uguale per tutti

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