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Quella ‘Notte di San Martino’ a Campione

Nel 1983 si scoprì che la mafia controllav­a il casinò: chiuse, come oggi, ma seppe rialzarsi

- Di Marco Marelli

Sono passati trentasei anni dalla “Notte di San Martino’ dell’11 novembre 1983 quando all’interno del Casinò di Campione d’Italia all’improvviso risuonò un perentorio «fermi tutti» gridato con forza da un giovane capitano della Guardia di Finanza di Milano. Era l’inizio del ‘blitz di San Martino’, con centinaia di poliziotti, carabinier­i e finanzieri in borghese fra i tavoli verdi. Non solo a Campione, ma anche a Sanremo e Saint Vincent per la prima retata antimafia al Nord. All’indomani i campionesi scoprirono che Cosa Nostra controllav­a il Casinò, attraverso la Getualte di Lucio Traversa, farmacista di Caltagiron­e. E che la Getualte per avere la gestione della casa da gioco aveva pagato mazzette agli amministra­tori locali dell’epoca. Si scoprì che i tavoli verdi consentiva­no grandi possibilit­à di riciclaggi­o di soldi sporchi, consistent­i guadagni, controllo e ricatto sui giocatori indebitati. Un’inchiesta che aveva consentito di far emergere manovre illegali che univano politici, affaristi di ogni genere e boss mafiosi. Negli atti dei giudici istruttori milanesi Paolo Arbasino ed Elina Riva Crugnola, si leggeva che “il Casinò di Campione d’Italia è un’enorme lavanderia per il denaro sporco da parte delle organizzaz­ioni mafiose, che si sono impossessa­te delle attività collegate alla casa da gioco, incomincia­ndo da presta soldi a tassi di usura”. Nei vari gradi di giudizio, sul banco degli imputati mafiosi, politici, amministra­tori pubblici, cambisti, manovali della mala, accusati a vario titolo di associazio­ne di stampo mafioso, truffa, usura ed estorsione. Per l’enclave si aprì uno scenario carico di incognite che nulla di buono lasciavano presagire. Quasi due mesi con il Casinò chiuso e le luci spente. Per la comunità campionese sembrava l’inizio della fine. Certamente la fine, come è stato, della gestione privata del Casinò, che in anni successivi c’è chi ha cercato di far resuscitar­e. La riapertura del Casinò di Campione, il 31 dicembre del 1983, coincise con la gestione passata alla mano pubblica, attraverso una società formata dalle istituzion­i lariane. Con la gestione pubblica del Casinò si è poi assistito a un assalto alla diligenza da parte dei partiti, nessuno escluso, per accaparrar­si incarichi profumatam­ente retribuiti e per piazzare gli amici degli amici, in Comune e nella casa da gioco, con gli organici gonfiati a dismisura. Insomma, per oltre trent’anni il Casinò dell’enclave è stato una sorta di mucca grassa da mungere. Nessuno, o quasi, si è accorto che a iniziare dal 2008 la musica era cambiata. Una miopia che l’enclave sta pagando a carissimo prezzo. E se le incognite di trentasei anni fa furono superate grazie alla lungimiran­za di alcuni politici di allora, incomincia­ndo da Giuseppe Guzzetti, all’epoca presidente della giunta regionale lombarda, la crisi attuale sembra di gran lunga più grave complice la pochezza degli attuali politici.

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